di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

Nel giorno dell’insediamento di Sergio Mattarella al Quirinale per il secondo mandato da Presidente della Repubblica, oltre agli auguri, sentiti e non solo di rito, è tempo di riflessioni sull’impianto istituzionale del Paese, dopo oltre settant’anni dalla stesura della nostra Carta Costituzionale. Ne parla anche La Repubblica, a corollario di un sondaggio sugli effetti tra l’elettorato delle ultime vicende politiche che hanno portato alla riconferma del Capo dello Stato. Al di là delle valutazioni sui partiti e sulle coalizioni, della classifica tra chi sale e chi scende fra i leader nel gradimento dei cittadini, del grado di fiducia riposto dagli italiani nei confronti del Premier Draghi e dello stesso Mattarella, ormai considerati, come scritto nello stesso articolo, un “solido binomio”, è significativo notare che l’autore del pezzo, il sociologo Ilvo Diamanti, dica chiaramente, dati alla mano, che il Paese, o quantomeno la maggioranza di esso, il 59% degli intervistati, voglia l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, mentre solo per il 19% l’attuale sistema dovrebbe rimanere così com’è. Da più parti, anche fra i commentatori più chiaramente orientati a sinistra, si sta facendo largo l’idea di una riforma in senso presenzialista, un tempo relegata fra i vari tabù innominabili perché troppo di destra. Il fatto è questo: al Paese certamente servono stabilità e credibilità, è altrettanto vero, però, che il rapporto fra elettorato e rappresentanti politici si è del tutto sfaldato. L’ha scritto perfino l’Huffington Post qualche giorno fa: il Palazzo continua a non voler ascoltare quel che gli italiani esprimono ripetutamente con il voto. Tutto rimane immobile in un parlamentarismo capace più di perpetuare se stesso che di farsi specchio della volontà popolare. Trovando poi delle soluzioni anche apprezzabili e benaccette dagli elettori, come il binomio Draghi-Mattarella di cui sopra, ormai considerato da molti come una sorta di necessario argine al caos, ma certamente non espressione chiara della sovranità popolare, se si può ancora dire, citando proprio la Costituzione. In quest’ultima legislatura, poi, la cosa si è resa quanto mai evidente con una decisa forzatura del concetto di “assenza di vincolo di mandato dei nostri parlamentari: le giravolte politiche, le vere e proprie inversioni a U ideologiche, non dei singoli deputati e senatori, ma di interi partiti, che hanno completamente ribaltato la linea con la quale si erano presentatati ai cittadini, hanno trasformato il voto in una specie di assegno in bianco. Firmato dagli elettori senza sapere ormai più, neanche a spanne, come si spenderà poi il capitale di fiducia assegnato. Si pensi in particolare al M5s, l’esempio più eclatante ma non il solo, scelto dai suoi elettori in quanto formazione protestataria in contrapposizione alla “casta” e ora partito solidamente ascrivibile al mainstream di centrosinistra. Ecco perché una riforma presidenzialista potrebbe riportare la politica sui binari, sì della stabilità, ma contemporaneamente anche di un più stretto rapporto fra elettori ed eletti.