di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl

L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha fornito un’interessante panoramica sul gradimento dello smart working fra i lavoratori italiani. Il lavoro agile, prima pressoché sconosciuto nel nostro Paese, dopo il Covid è diventato un vero e proprio «fenomeno di massa». Nell’anno appena concluso, infatti, sono stati 7 milioni e 200 mila i lavoratori – circa un terzo del totale degli occupati – che hanno operato parzialmente o totalmente da remoto. Come noto, l’utilizzo di questa modalità lavorativa si è reso necessario a causa della pandemia per tentare di arginare i contagi ed è stato incentivato grazie alla forma semplificata che ne permette l’attivazione immediata anche in assenza dello specifico accordo fra datore e dipendente che normalmente si richiede. Questo stato di cose, legato alla durata dell’emergenza nazionale, dovrebbe terminare a marzo, quando torneranno gli accordi individuali e probabilmente lo smart working verrà utilizzato meno dalle aziende. Ebbene, in base all’indagine Inapp, quasi la metà dei lavoratori interessati, il 46%, vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modalità agile un giorno a settimana, circa il 25% per almeno tre giorni ed il 20% accetterebbe addirittura una penalizzazione dal punto di vista retributivo pur di continuare a lavorare da casa per l’intero orario settimanale, anche se attualmente la normativa non prevede, fortunatamente, nessuna decurtazione di stipendio. Abbiamo affrontato la questione varie volte , parlando dei pro e dei contro dello smart working per lavoratori e aziende e pensando, per il periodo post pandemico, a una migliore organizzazione di questo nuovo modo di lavorare ora così diffuso. Un’altra riflessione però, con questi nuovi dati alla mano, si può ancora fare. Certamente la comodità, una migliore qualità della vita, il tempo da dedicare al privato sono fattori impagabili e si comprende come alcuni li trovino preferibili perfino rispetto a una busta paga più consistente. Però è possibile anche una lettura maggiormente pragmatica della situazione: queste considerazioni dei lavoratori campione ascoltati nell’indagine Inapp denunciano, infatti, fra le righe, una mole tale di difficoltà e di spese legate al lavoro in presenza che, se paragonata a salari e stipendi, come sappiamo fermi al palo, potrebbe far pensare a molti che il gioco non valga più la candela. Complicazioni e costi per raggiungere il posto di lavoro per i pendolari, un mercato immobiliare troppo caro rispetto al tenore di vita nelle zone centrali vicine agli uffici, carenza di adeguati servizi pubblici di cura per i familiari, che siano bambini, anziani o perone con disabilità, costo elevato dei servizi analoghi offerti dal privato e così via. Insomma, una lettura del fenomeno meno ottimistica, ma piuttosto verosimile: il problema salariale assieme a quello delle carenze del welfare tornano in primo piano, anche nella questione smart working.