di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Secondo l’Osservatorio permanente Censis-ItalCommunications sulle Agenzie di comunicazione in Italia, 14 milioni e mezzo di italiani (il 30,1% dei 14-80enni) utilizzano Facebook per avere notizie, con quote che raggiungono il 41,2% tra i laureati, il 39,5% dei soggetti con età compresa fra 30 e 44 anni, il 33% delle donne.
Si approfondisce di ulteriori sfaccettature, l’analisi sulla società italiana in tempo di pandemia portata avanti dall’istituto di ricerca che meriterebbe, insieme a profonde riflessioni, anche conseguenti contromisure. Una fiducia crescente e sbilanciata a favore dei social media aumenta il rischio diffusione delle fake news. Tendenza che si può mettere in relazione anche alla crisi del servizio pubblico, sebbene non ne sia la sola causa, che, in questo momento, con la «rivoluzione» annunciata dall’amministratore delegato Rai, Carlo Fuortes, sta cadendo sotto la scure di forti tagli, quando invece avrebbe bisogno di un potenziamento soprattutto in senso qualitativo. E così se il 74,5% degli italiani pensa che la televisione sia molto o abbastanza affidabile, bisogna necessariamente rivolgersi, per sottrarlo alle “bufale”, a quel 34,3% che giudica affidabili solo i social network. Tutto o quasi torna con quel 5,8% degli italiani, sempre certificato dal Censis, convinto che la terra sia piatta e con il 10% convinto che l’uomo non sia mai andato sulla Luna.
Ovviamente non è il web in sé da demonizzare, poiché consente a tutti noi, anche a chi fa sindacato, di tenere sempre attiva e aggiornata la propria rete di contatti, di “fare comunità” e coltivare quel senso di appartenenza che è il collante sia di gruppi poco o molto estesi di persone sia di una famiglia, magari geograficamente dispersa. Come in effetti è accaduto soprattutto durante la pandemia: i social hanno in parte compensato la domanda, spasmodica, di informazioni, fino però a generare una infodemia, e la solitudine conseguente al confinamento a casa. Ma è altrettanto vero che, nonostante i social abbiano dovuto adottare regole di comportamento più stringenti per autoregolarsi e arginare il caos, il flusso e la qualità delle “notizie” restino incontrollati. Un fatto preoccupante se associato all’analfabetismo funzionale, nonché digitale. Insomma, potrebbe anche andare peggio di così. La pandemia ha evidenziato sia gli aspetti positivi sia quelli negativi dei social media che hanno un impatto diretto su informazione e fake news e gli italiani dimostrano almeno di esserne consapevoli: per il 55,1% il digitale fomenta l’odio, il rancore, la conflittualità, mentre per il 41% dei non vaccinarti nessuna fonte informativa è affidabile.
Bisogna, dunque, evitare di “dormire sugli allori” di quell’86,4% di italiani consapevole che, per avere un’informazione di qualità, è meglio affidarsi ai quotidiani di carta e online, radio e televisione, piuttosto che ai social network, e andare in soccorso, anche se non richiesto, della restante parte di popolazione potenzialmente manipolabile da fonti di informazione anonime attraverso notizie false costruite in funzione di obiettivi che nulla hanno a che vedere con il bene, ad esempio, di un’intera nazione.