di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il web ed i social spesso sono luoghi di sana comunicazione e informazione, ma a volte anche, purtroppo, forieri delle idee più strampalate e quella che sta circolando in questi giorni si può annoverare, senza ombra di dubbio, fra queste ultime. Veniamo al dunque. Ci sono stati odiosi episodi di violenza contro le donne avvenuti sui mezzi pubblici. Tanti, purtroppo, lungo tutto lo Stivale, a testimonianza di una crescente insicurezza sociale. In particolare recentemente sono accaduti due casi nel Varesotto, uno su un treno della linea Milano-Varese e l’altro, poco dopo, all’interno della stazione ferroviaria di Vedano Olona, sempre in provincia di Varese, due gli aggressori, uno cittadino italiano e l’altro di nazionalità marocchina, poi tratti in arresto, nella speranza che siano accertate le responsabilità e siano comminate pene adeguate ed effettive. Giustamente molte persone, donne e non solo, si sono lamentate chiedendo maggiore vigilanza e punizioni certe per i colpevoli. Ma qualcuno ha avuto l’idea di lanciare una petizione, su internet, chiedendo a Trenord, l’azienda del trasporto locale di quell’area del Paese, di riservare, a scopo protettivo, un vagone dei treni alle sole donne, quello di testa, vicino ai conducenti, per evitare loro incontri sgradevoli o comunque aver modo di avvertire subito, in caso contrario, il personale ferroviario. «Chiediamo a Trenord di dedicare, su tutte le sue linee, la carrozza di testa alle donne. In questo modo, a qualsiasi ora, si potrà viaggiare sicure». Così l’appello pubblicato su change.org. «Abbiamo il diritto – si legge nella petizione, lanciata da pochi giorni – di usare i mezzi pubblici a qualsiasi ora del giorno senza paura. In altri Paesi, sui mezzi di trasporto anche locale esistono carrozze dedicate alle sole viaggiatrici». Sì, ma, quali Paesi? Non vorremmo che passasse l’idea che siano le vittime a doversi nascondere e non i colpevoli, che le donne debbano essere trattate come categoria debole da limitare negli spostamenti, mentre invece andrebbero circoscritti, in una cella, quelli degli aggressori. Insomma, il rischio concreto è che ci si arrenda all’insicurezza sociale, delle strade, dei luoghi di aggregazione, dei mezzi pubblici. Non cercando più di rendere le nostre città vivibili, ma abbandonandole, ritagliandosi piccoli spazi recintati di sicurezza ed anche, vedendo il rovescio della medaglia, di auto-segregazione. Una deriva verso una società a compartimenti stagni, divisa per generi come nei Paesi islamici, non certo a tutela delle donne, che dovrebbero essere libere di andare ovunque ed a qualsiasi ora, senza sentirsi minacciate. Una petizione lanciata senz’altro in buona fede, ma che rappresenta un sintomo poco rassicurante di rassegnazione, cercando soluzioni di ripiego, invece di lottare per un’Italia sicura per tutti, donne e non solo.