di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
L’appello di Papa Francesco in favore dei profughi in occasione della sua visita a Lesbo, isola greca che ospita un enorme campo, duemila e cinquecento persone provenienti in gran parte dall’Afghanistan e dalla Siria, riaccende i riflettori sulla questione migratoria, ultimamente oscurata dalla pandemia. Le parole del Pontefice sono all’insegna del dovere della solidarietà nei confronti dei meno fortunati e sono rivolte al mondo intero: quello migratorio non è un problema solo europeo, pertanto neanche la soluzione dovrebbe essere addebitata esclusivamente all’Europa. Certo è che spostando i termini del discorso dal campo morale a quello politico, comunque la si pensi, è innegabile lo stallo nel quale si trova l’Ue, che ancora non è riuscita a mettere in piedi un sistema capace di coniugare in modo soddisfacente le esigenze di sicurezza e legalità, solidarietà e integrazione, a beneficio dei migranti da un lato e dei cittadini europei dall’altro. Poco o nulla è cambiato nel corso degli anni e le criticità non solo non sono state risolte, anzi, in alcuni casi sono addirittura peggiorate. Tanto che anche il nostro Premier, Mario Draghi, più avvezzo ad altre materie, per la propria natura di tecnico e per la maggiore urgenza nel contesto attuale di occuparsi di crisi Covid e Pnrr, ha sentito, comunque, la necessità di intervenire sul tema, manifestando le difficoltà del nostro Paese, in prima linea ad affrontare, sostanzialmente in solitaria, i flussi costanti non solo dei profughi, ma anche dei migranti economici. La questione è certamente umanitaria, ma anche e molto politica. Lo dimostrano esempi diversi ed eloquenti: la crisi ai confini della Polonia, la gestione turca, il nodo irrisolto della Libia con i suoi campi di detenzione. I migranti usati come clava o come “minaccia” per ottenere altro, considerando l’impatto economico e sociale che inevitabilmente comportano le massicce ondate migratorie negli Stati verso i quali sono dirette. Certo, ha ragione il Papa, non si possono chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze dei più deboli, alle stragi nel Mediterraneo, non è sufficiente erigere dei muri. Ma l’alternativa non può essere quella di una resa ai trafficanti e ai ricattatori che agiscono contro gli interessi tanto dei migranti quanto dei cittadini europei. E nemmeno il doversi rifugiare, da parte dei singoli Paesi Ue, nel bilateralismo, provando a risolvere autonomamente il problema, spesso con scarsi risultati, di fronte a una questione così grande e complessa. Servirebbe, piuttosto, una risposta congiunta a livello internazionale e, dal punto di vista del Vecchio Continente, l’azione dovrebbe essere coordinata: in fondo l’Unione dovrebbe servire anche a questo. Gestendo efficacemente i rapporti con gli Stati di origine, di transito, di partenza, offrendo cooperazione internazionale e aiuti, contrastando gli scafisti, controllando i confini, gestendo i flussi in modo razionale, consentendo così, con una maggiore regolamentazione, più possibilità di accoglienza e integrazione agli aventi diritto. Alle parole accorate del Papa, consone al suo ruolo, la politica, e nello specifico quella di Bruxelles, dovrebbe essere in grado di offrire risposte serie e misure efficaci, per una gestione ordinata e dignitosa del fenomeno migratorio.