Il part time involontario finisce per penalizzare soprattutto le donne

Crescono solo i contratti a termine e nei primi sei mesi del 2021 quelli part-time (quasi il 36% di tutti i contratti del periodo in esame, ovvero un terzo), per cui si arriva a fatica a fine mese perché si allarga la platea dei “working poor” e di coloro che hanno un lavoro discontinuo, un aspetto di cui si dibatte da tempo e che qualcuno vorrebbe risolvere con l’introduzione del salario minimo orario legale. Questi i dati che emergono dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), che evidenziano una ripresa lenta e a tempo parziale. Salari bassi, poco potere di acquisto e con le donne sempre in condizione sfavorevole rispetto agli uomini (quasi il 50% delle assunzioni a tempo parziale per le donne, contro il 26,6% per gli uomini) quando si tratta di trovare un impiego. Inoltre, la richiesta del part time non è quasi mai una scelta del lavoratore, ma dell’azienda. Ma la crisi coinvolge anche i giovani e il sud Italia, e poi anche i lavoratori autonomi. La situazione non migliora se si prendono in esame le regioni del sud Italia e i giovani, soprattutto quelli residenti nelle regioni Calabria, Sicilia e Molise. Qui i contratti attivati sono meno rispetto al nord Italia, ma aumenta anche l’incidenza del part time (oltre il 70%). Quindi, nonostante incentivi e contributi, la situazione lavorativa in Italia non migliora e a rischio ci sono produttività e competitività. Si dovrebbe puntare invece a una stabilità lavorativa, contrattuale ed economica.