di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Il primo pensiero di un sindacalista, di fronte a eventi che possono modificare l’assetto societario di una grande impresa, va al destino dei lavoratori e della stessa azienda rispetto agli equilibri e agli interessi nazionali. È in quest’ottica che va interpretata la posizione dell’Ugl da me espressa rispetto all’Opa, «amichevole» o meno che sia, del fondo statunitense Kkr nei confronti di Tim. Vale la pena evidenziarlo oggi non solo perché la società vale circa 40 mila posti di lavoro, ma anche perché oggi su alcuni quotidiani la levata di scudi delle organizzazioni sindacali e di alcuni partiti è stata interpretata come un’incapacità o non volontà di saper vedere in questa operazione un’opportunità. Facciamo un passo indietro e riflettiamo sul fatto che la manifestazione di interesse, piombata come un meteorite in un momento già abbastanza delicato non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto politico del nostro Paese, sia stata espressa nei confronti di un soggetto che, per dirne un’altra, non solo è il maggiore operatore di telefonia del Paese, ma soprattutto è la società che detiene la parte più rilevante dell’infrastruttura di telecomunicazione. Se è “diplomaticamente” ovvio per un Governo valutare come «notizia positiva», il fatto che investitori stranieri trovino interessante investire in aziende italiane, non lo è altrettanto per un sindacato, il quale se si fermasse davvero al “dato positivo” rappresentato dagli investitoti interessati, darebbe un pessimo servizio alle persone che rappresenta e anche a quelle che non rappresenta, cioè lavoratrici e lavoratori. Che sia un’operazione di mercato – e per giunta con riverberi politici – lo dimostra il fatto che l’Opa più la levata di scudi e il diniego di Vivendi, socio di maggioranza di Tim, abbia fatto volare in Borsa il titolo di Tim. Si può essere contenti solo di questo? Non dal mio punto di vista di sindacalista e direi anche di italiano. Se davvero l’Opa su Telecom per Kkr può essere soltanto un’operazione squisitamente ed esclusivamente di mercato, non lo sarebbe per l’Italia perché riguarda un settore strategico come quello delle Tlc. Anche il processo di governance deve essere finalizzato alla crescita dell’innovazione, ai benefici del Paese. Per le stesse ragioni, il governo non può stare semplicemente a guardare. Il riassetto di Telecom, infatti, coincide con il riassetto complessivo delle Tlc, del sistema digitale e della nostra capacità di essere uno dei soggetti importanti in Europa. Occorre, dunque, avere una visione industriale, non solo di mercato.  Senza dimenticare che, perdendo strategicità e ruolo, anche il destino dei 40mila dipendenti di Telecom verrebbe messo in pericolo. E per quanto mi riguarda la salvaguardia dell’occupazione non può essere trattata come una varia ed eventuale.