di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Oggi due quotidiani diversi, Il Giorno e La Verità, parlano di un fenomeno che si sta verificando un po’ ovunque nel mondo occidentale, dagli Usa all’Europa e anche qui da noi in Italia: l’aumento delle dimissioni volontarie di lavoratori e lavoratrici in questo periodo complesso di transizione verso un’auspicabile fine della pandemia di Covid-19. In America, per descrivere questa inedita impennata di auto sospensione dal lavoro è stata coniata anche un’espressione apposita: «The great resignation». Una situazione del genere, di rinuncia all’occupazione, solitamente, come spiega un economista citato nell’articolo apparso sul Giorno, Daniel Zaho, solitamente si verifica nei periodi di crescita economica e salariale, è un segno di benessere. Attualmente, invece, ci troviamo, all’opposto, ancora in crisi, eppure i numeri sono chiari: le dimissioni crescono. Le motivazioni le chiarisce sempre l’economista: la paura del virus, le paghe troppo basse comparate allo stress derivante dal lavoro stanno portando molte persone a prendere decisioni drastiche. Tornando al nostro Paese, in base ai dati, nel secondo trimestre del 2021, quindi ancor prima dell’introduzione dell’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro, si è verificato un aumento consistente delle dimissioni volontarie, 484.000 tra aprile e giugno, una crescita del 37%, che arriva a un aumento addirittura dell’85% rispetto allo stesso periodo del 2020. Il tutto nonostante la ben nota immobilità del mercato del lavoro italiano e la presenza di un tasso di disoccupazione significativo, come ricorda La Verità: al 9,2% quella generale, al 29,8% quella giovanile, come certifica l’Istat. Differentemente da quanto ci si potrebbe aspettare, la maggioranza delle dimissioni sono state presentate da uomini, 292mila, meno, invece, le donne, 192mila. E molti esperti dibattono su come interpretare quanto sta accadendo, chiedendosi se si tratti di un episodio o di una vera e propria tendenza destinata crescere col tempo. Certamente la pandemia ha giocato un ruolo fondamentale: nuove prospettive sono nate a seguito dei cambiamenti economici, produttivi e sociali introdotti in questi mesi così particolari. Poi la paura del virus e il desiderio di cambiare vita, il ritorno per alcuni alle Regioni di origine lasciando le metropoli del Centro Nord, il tutto spesso scegliendo di abbandonare occupazioni poco remunerative e comunque non abbastanza gratificanti, che in passato potevano essere considerate accettabili, ma ora, in un contesto così diverso e difficile, non più. Un fenomeno che potrebbe diventare consistente ed essere ancora in fase embrionale, determinando conseguenze anche dal punto di vista di una rimodulazione delle retribuzioni, in Italia in media troppo basse. Dipenderà, probabilmente, dai tempi e dai modi di un pieno ritorno alla normalità.