Sono 5,3 milioni i giovani fra 15 e 29 anni inattivi: il grande potenziale da attivare. Così, secondo Randtsad Research, che ha tracciato il loro profilo, analizzandone le cause e immaginando il futuro possibile. In un’Italia sempre più anziana

I giovani prendano nota: «Con tutti loro, con tutti voi, voglio prendere un impegno. Dopo anni in cui l’Italia si è spesso dimenticata delle sue ragazze e dei suoi ragazzi, sappiate che le vostre aspirazioni, le vostre attese, oggi sono al centro dell’azione del Governo», lo ha detto oggi il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso della visita all’Its, Istituto tecnico superiore per la formazione post diploma ‘Cuccovillo’, nel rione Japigia di Bari. Le parole sono belle, ma la situazione è davvero molto grave. Basti pensare che per Randstad Research, il centro di ricerca sul futuro del lavoro promosso da Randstad, nel tracciare un profilo dei giovani inattivi, analizzandone le cause e immaginando il futuro possibile, in un’Italia sempre più anziana, con un’età mediana di 45,6 anni nel 2020 e destinata a raggiungere i  50 anni entro il 2060, c’è un grande potenziale per la sostenibilità del Paese: 5,3 milioni di giovani fra 15 e 29 anni inattivi, di cui il 42% residente al Sud, pari al 13,8% della popolazione in età lavorativa (15-64 anni). È l’arcipelago, piuttosto variegato, che comprende giovani inattivi per un giustificato motivo perché studenti (4,2 milioni, statisticamente inattivi perché inoccupati o non alla ricerca di un lavoro) e invalidi (158mila), il record europeo di neet, persone che non studiano e non lavorano (1,1 milioni inattivi in senso stretto, a cui si aggiungono circa 800mila disoccupati), e troppi occupati con contratti precari o che lavorano poche ore alla settimana. Un potenziale da riattivare urgentemente attraverso politiche attive per i neet, un ‘Piano Marshall’ per la formazione post-secondaria e investimenti in ricerca e sviluppo. “Le isole dei 5,3 milioni di giovani inattivi” fotografate nel rapporto Randstad sono diverse tra loro ma accomunate dalla scarsa o nulla integrazione con il mercato del lavoro e, in generale, da competenze carenti o diverse da quelle richieste dal mondo lavorativo nella società della conoscenza, come quelle digitali, che un giovane su tre non ha sviluppato nemmeno a livello base, anche fra i cosiddetti nativi digitali. Un problema storico che nasce durante gli anni delle scuole: il 13,1% dei ragazzi fra 18 e 24 anni ha interrotto prematuramente gli studi e soltanto il 37% degli studenti si iscrive a percorsi di istruzione-formazione post-secondari. E prosegue quando dopo la scuola ci si affaccia al mondo del lavoro: il 22,2% dei giovani sono neet scoraggiati che non lavorano e non cercano impiego, contro il 12,5%  della media europea, addirittura il 52,8% fra i 16-24enni.

Draghi: «Sappiate che le vostre aspirazioni, le vostre attese, oggi sono al centro dell’azione del Governo»