di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il lavoro agile è stato uno dei simboli della pandemia: ha rappresentato una grande novità nel mondo del lavoro italiano consentendo a milioni di persone, oltre sei nei momenti di maggiore utilizzo, poi stabilizzatisi a circa quattro, di continuare a lavorare da casa durante le chiusure tramite le tecnologie informatiche. Ora, in questo autunno all’insegna del miglioramento dei dati epidemiologici, che ci auguriamo tutti sia definitivo, molte aziende hanno deciso di far rientrare in presenza i propri addetti. Sarebbero un milione e mezzo quelli tornati alla scrivania. La maggior parte delle imprese sta scegliendo una formula mista con un’alternanza tra lavoro in sede e da remoto, sia a causa della necessità di rispettare le normative sul distanziamento e la capienza massima degli spazi, sia perché, comunque, la misura ha preso piede fra dipendenti e datori, garantendo maggiore conciliazione tra vita professionale e privata ai primi e qualche risparmio ai secondi. Nella maggioranza dei casi a livello contrattuale si è rimasti nell’ambito dello smart working semplificato abbinato allo stato d’emergenza che dovrebbe terminare con la fine del 2021. Un’idea del futuro del lavoro agile post pandemia potrebbe darla quanto sta accadendo nel settore del pubblico impiego. Il ministro Brunetta, dopo aver dato ordine di dietrofront totale dallo smart working, richiamando i dipendenti nei vari uffici della Pubblica Amministrazione, sembra ora intenzionato, con le sue linee guida sul lavoro agile, a continuare a utilizzare questa modalità lavorativa anche nel dopo Covid, con, però, regole ben precise per evitare alcune criticità che si erano manifestate nei mesi passati. Dovrebbe essere accantonato il tetto massimo del 15% di dipendenti in smart: la possibilità di lavorare da remoto, più che a parametri quantitativi, dovrebbe essere consentita sulla base di criteri legati alla produttività, ovvero mantenendo servizi “invariati” per gli utenti. Quindi sì al remoto – su base volontaria e con accordi individuali – purché non infici i risultati richiesti, mediante obiettivi chiari e definiti, dall’amministrazione e in questo contesto si prevede anche lo sblocco di quella parte della retribuzione legata alla produttività, ossia premi e indennità. Inoltre i dipendenti dovranno garantire la propria attività prevalentemente in presenza, solo in parte minoritaria da remoto. Maggiore attenzione sui dispositivi tecnologici: dovranno essere forniti dall’azienda, usando la connessione garantita dall’amministrazione, anche per motivi di sicurezza. Si potrà essere contattati sul telefono aziendale e non su quello personale e si avrà diritto a 11 ore di disconnessione consecutive. Previsto poi anche il vero e proprio telelavoro, ossia dalla propria abitazione e non genericamente da remoto e con orari uguali a quelli d’ufficio. Uno schema che potrebbe essere la prima bozza di un nuovo smart working, parziale ma diffuso, orientato alla conciliazione ed alla produttività, che vada oltre l’emergenza Covid.