Spunta l’ipotesi di ricorrere al meno complesso istituto del lavoro da remoto

Rientro in sede con non poche incertezze interpretative. È quello che sta succedendo in larga parte delle amministrazioni pubbliche in questi giorni. Come noto, dallo scorso venerdì, il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, ha disposto il rientro in sede di tutti i dipendenti pubblici o, meglio ancora, di quella parte di dipendenti pubblici, dai ministeri agli enti locali, passando per gli enti non economici e le agenzie, che, dal marzo del 2020, al fine di contenere la diffusione del Covid-19, hanno potuto lavorare a distanza in tutto o in parte l’orario di lavoro. Il problema che si pone, in questo momento, è che si sta passando da una fase scarsamente regolamentata, come quella che abbiamo vissuto in questi venti mesi, ad una in linea con quelle che sono le disposizioni di legge che prevedono la sottoscrizione di un accordo individuale per accedere allo smart working. Le amministrazioni si stanno dotando di specifici regolamenti, ma la gestione appare molto complessa, in quanto ogni responsabile dovrà valutare la possibilità o meno di concedere il lavoro agile ad un suo sottoposto, con il quale poi il dirigente individuato dovrà appunto sottoscrivere un accordo individuale per regolamentare il tutto. Una procedura farraginosa, come evidenziato più volte, anche per il settore privato, da Cgil, Cisl, Uil e Ugl in tutte le occasioni di confronto con i ministri competenti.