di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Oggi il Documento programmatico di bilancio è approdato in Consiglio dei Ministri per essere successivamente trasmesso a Bruxelles. La manovra, che entra più nel dettaglio, dovrebbe invece essere esaminata in una riunione successiva, entro la fine della settimana, e dopo un confronto, che auspichiamo sia il più ampio possibile e di merito, con le parti sociali.

Molti e complessi sono i nodi che il Governo si trova ad affrontare: reddito di cittadinanza, pensioni, taglio del cuneo fiscale e riforma degli ammortizzatori sociali. Tutti essenziali per il mondo del lavoro e per il sindacato. Nella Nadef il governo si è impegnato ad avviare una prima fase della riforma dell’Irpef e degli ammortizzatori sociali e a mettere a regime l’assegno unico universale. Ma il “restyling” che i giornali ritengono più scontato, e dal nostro punto di vista più delicato, è quello relativo al Reddito di Cittadinanza, che andrebbe totalmente rimesso in discussione, e alle pensioni. Per queste ultime a quanto pare, l’ipotesi più verosimile, riportata di media, è che esistono diverse le soluzioni allo studio per garantire un canale di uscita a 62-63 anni, in aggiunta all’Ape sociale rafforzata, meccanismo più selettivo, in quanto destinato solo ad alcune categorie o settori o con un assegno ridotto. È evidente che l’uscita anticipata resta un’esigenza nonché un diritto acquisito difficilmente eludibile, ma il problema sta nel “come” e per quanto tempo il Governo intenda mantenerlo. Per l’UGL, la riforma del sistema previdenziale è un capitolo centrale della prossima Manovra finanziaria, che non può rimanere ostaggio di veti incrociati e di strumentalizzazioni ideologiche, ed è per questo che occorre ribadire in questa sede alcuni punti fondamentali: quota 100 è stata una misura di giustizia sociale che ha restituito a 340mila lavoratori italiani la libertà di optare per il pensionamento anticipato. Come Sindacato, ci opponiamo categoricamente ad un graduale ritorno della Legge Fornero e all’applicazione dello scalone fino ai 67 anni di età.

Sarebbe inaccettabile tagliare i diritti acquisiti dagli italiani in nome dell’austerity, una logica miope rivelatasi ormai fallimentare. Il rafforzamento di strumenti come “Opzione donna” e “l’Ape sociale” è certamente una misura necessaria ma non sufficiente. La soluzione preferibile resta “Quota 41” che fa salva la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di versamenti. È fondamentale, dunque, mantenere dei meccanismi di flessibilità in uscita, in alternativa attraverso la creazione di un maxi-fondo diretto ad accompagnare i lavoratori alla pensione, al fine di favorire il turnover generazionale e, dunque, l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Ecco perché torniamo a ribadire al Governo l’importanza di dare ascolto alle istanze dei lavoratori aprendo un tavolo con tutte le parti sociali per discutere della riforma delle pensioni.