di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Che in Italia gli stipendi siano troppo bassi è un dato di fatto, un problema di cui spesso abbiamo parlato, suggerendo di intervenire per risolvere la situazione, specie prendendo dei provvedimenti sul lato fiscale. Ultimamente, invece, in collegamento a questo tema si è tornato a parlare di salario minimo, dopo qualche tempo di pausa nel quale l’argomento sembrava accantonato. Uno strumento, dicono i sostenitori della misura, che potrebbe aiutare i lavoratori attualmente sottopagati ad avere una retribuzione più dignitosa. Detta così la cosa parrebbe semplice. Stabilire una soglia minima per tutelare tutti e poi affidare condizioni migliorative alla contrattazione. Come sempre, perché “ce lo chiede l’Europa”, un mantra che non sempre – per usare un eufemismo – ha portato miglioramenti nelle condizioni di vita dei cittadini italiani. Infatti, il ragionamento a sostegno “in astratto” del salario minimo, purtroppo nel concreto fa acqua da più parti. Soprattutto dovendolo attuare qui, nel nostro Paese. In diversi altri Stati Ue è in vigore il suddetto minimo salariale stabilito per legge, ma l’Italia è caratterizzata da un sistema differente rispetto a quello di altre nazioni europee. Un metodo che finora ha funzionato per una grande fetta di lavoratori dipendenti, ovvero quello della contrattazione collettiva tra le Parti Sociali. Un sistema che ha garantito a moltissimi dipendenti diritti e tutele. È vero: non tutti i lavoratori sono protetti dalla contrattazione. Sarebbe necessario rivolgere l’attenzione verso i settori nuovi, nati con l’avanzamento delle tecnologie e i cambiamenti dei sistemi produttivi, intervenendo con Contratti ad hoc, come quello oggetto di polemiche e che invece rivendichiamo orgogliosamente dei Rider. E puntare su partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e contratto di comunità. Senza dimenticare, poi, il fatto che il nostro sistema produttivo è contraddistinto anche e purtroppo da un uso diffuso del lavoro parzialmente o totalmente irregolare. Il timore che ci sentiamo di esprimere, sulla questione salario minimo per legge è, sinteticamente, quello di veder peggiorare le condizioni di lavoro dei contrattualizzati senza, però, neanche riuscire nel concreto a migliorare quelle dei lavoratori intrappolati nella sotto occupazione. L’abbiamo visto ora nella vertenza Alitalia-Ita, con l’intenzione del nuovo management di uscire dal sistema della contrattazione collettiva per offrire condizioni di lavoro al ribasso dal punto di vista economico e non solo. Il salario minimo per legge potrebbe tradursi in un lasciapassare per le aziende ad allontanarsi dal sistema della contrattazione collettiva, generando un livellamento verso il basso delle condizioni di lavoro. Ha fatto un accenno al problema anche il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, andando dritto al punto e affermando che l’introduzione del salario minimo rischia di indebolire, piuttosto che rafforzare, i lavoratori.