di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il passaggio da Alitalia a Ita si sta consumando in una maniera molto diversa rispetto a quella che auspicavamo mesi fa. La sostanza è tanto chiara quanto drammatica per i lavoratori di quella che fu la nostra compagnia di bandiera: dei 10.400 dipendenti Alitalia, solo 2.800 faranno parte del personale Ita – tra piloti, assistenti di volo, tecnici, personale di terra – e questa è una stima per eccesso, dato che il nuovo vettore ha stabilito un numero di dipendenti necessari, ma ha aperto le candidature anche a chi non era già dipendente Alitalia. In questo modo, con l’assunzione anche di personale esterno, il numero di coloro che manterranno il proprio impiego si riduce ulteriormente, gettando nello sconforto migliaia di persone e di famiglie, che, giustamente, in questi giorni stanno manifestando il proprio disagio e la propria preoccupazione. Una decisione, quella del management Ita, che si somma alla scelta di impostare nuovi rapporti di lavoro con i dipendenti che saranno riassunti, non tenendo conto di quanto pattuito in precedenza ed eludendo le garanzie previste nel contratto nazionale di lavoro. Una vera e propria macelleria sociale, con i lavoratori esclusi dalla nuova compagnia o costretti a condizioni capestro, sia dal punto di vista retributivo, che da quello delle condizioni di lavoro. L’azienda sembra irremovibile e il tempo stringe, con il definitivo passaggio di consegne fra Alitalia e Ita previsto per il prossimo 15 ottobre. E, invece, la trattativa va necessariamente riaperta perché il piano industriale e occupazionale della compagnia così com’è resta inaccettabile ed è urgente trovare il modo di stilare un nuovo accordo che preveda tutele reali per i lavoratori. Si tratta di una crisi gravissima, la più grave crisi aziendale del Paese, che va anche al di là della singola vertenza, perché mette in discussione l’intero sistema della contrattazione nazionale e anche perché non riguarda un’azienda qualsiasi, bensì una società pubblica, che, quindi, non solo non dovrebbe mai disconoscere le garanzie previste nel contratto nazionale di lavoro, ma che, al contrario, dovrebbe avere proprio per la sua stessa natura una particolare responsabilità sociale. E tutto questo restando nell’ambito del mantenimento dei livelli occupazionali e del dei diritti acquisiti dai lavoratori, senza considerare neanche altri aspetti, altrettanto preoccupanti, di un piano industriale che sembra ormai votato al ridimensionamento e non certo alla crescita della compagnia e in generale del settore del trasporto aereo nel nostro Paese. La mobilitazione continua, in attesa di risposte accettabili da parte dell’azienda. Il Governo dia garanzie alle migliaia di lavoratori a rischio licenziamento o sotto inquadramento e faccia chiarezza sul futuro che ha in mente per il trasporto aereo italiano.