di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La crisi economico-sociale italiana, già precedente al Covid e poi, naturalmente, peggiorata con la pandemia, ha comportato conseguenze importanti anche sul piano demografico. Ora, seppure con tutta la prudenza del caso, il Paese sembra avviato verso una fase di ripresa, ma per una completa rinascita – in senso lato, ma, dato il tema, anche letterale del termine – all’Italia servono misure capaci di invertire la rotta anche sul piano della natalità. I dati, fonte Istat, sono chiari e netti: il 2020, l’anno del virus, è costato al Paese non solo un numero di vittime altissimo, 746mila, un picco di mortalità di portata bellica, come affermato da Blangiardo, il presidente dell’istituto, ma anche un ulteriore crollo delle nascite: 404mila, ennesimo record negativo che potrebbe essere battuto già a breve, con il 2021 che si preannuncia peggiore. Siamo solo a fine settembre, ma la previsione dell’Istat è quella di concludere l’anno con un numero totale di nuovi nati ancora inferiore, tra 385 e 395mila. Se dal punto di vista della mortalità speriamo che a breve, grazie alla campagna vaccinale, si possa voltare pagina e considerare terminata la pandemia, da quello della natalità occorrerà prendere provvedimenti altrettanto corposi per invertire una tendenza che era già in atto da anni, ma che è stata esasperata dal virus. Tempo fa si è occupato della questione anche il Sole 24 Ore, citando uno studio sul tema condotto da demografi e sociologi della Bocconi e della Cornell University americana: esaminati 22 Stati tra i più ricchi e sviluppati, da quelli europei agli Stati Uniti a Singapore, si è verificato – ma c’era da aspettarselo – che la pandemia, con le chiusure e i lockdown attuati anche se con diverse modalità in tutti i Paesi considerati, non ha comportato ripercussioni uguali dal punto di vista delle nuove nascite, ma ci sono state differenze corrispondenti al livello di protezione offerto dal welfare. Il calo delle nascite è avvenuto dove le persone non si sono sentite protette da un sistema in grado di assicurare una sufficiente tranquillità economica e protezione sociale. Certo, hanno inciso anche altri fattori, il clima di preoccupazione generato dalla situazione sanitaria, la necessità di posticipare le pratiche mediche relative alla fertilità e alla fecondazione assistita, ma la componente economica è stata decisiva. Ora che il Paese sembra avviato sulla strada della ripresa, questo tema non andrà certamente sottovalutato. Rischieremmo, infatti, se continuassero così le cose, uno spopolamento consistente, con circa 4 milioni di italiani in meno nell’arco di vent’anni, con come conseguenza anche un inevitabile crollo del Pil pari al -6,9%. L’impatto dell’attuale declino demografico e del conseguente invecchiamento della popolazione sulla produttività e sull’occupazione appare drammatico con effetti devastanti, a lungo termine, sull’intero sistema Paese. Per questo nell’ambito del progetto per la ripresa dell’Italia serve un piano di interventi in grado di invertire la tendenza, potenziando strumenti come l’assegno unico universale, impostando riforme strutturali e politiche pubbliche volte a creare condizioni di stabilità e sicurezza per i lavoratori, realizzando un nuovo welfare per l’infanzia, implementando le misure a sostegno delle famiglie e della genitorialità.