di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Il “power crunch” o, per dirla in italiano, la stretta energetica scelta dalla Cina per risolvere i suoi problemi di produzione e di fornitura, al punto che due grandi banche (Nomura e Goldman Sachs) hanno rivisto al ribasso le stime di crescita del colosso asiatico, dovrebbero costringere tutti noi e soprattutto le istituzioni europee a rivedere politiche e obiettivi sia in campo energetico sia in termini di transizione ecologica/energetica e sui relativi effetti nefasti, economici e sociali allo stesso tempo. La Spagna, nazione notoriamente “devota” a Bruxelles, ha sollevato il problema attraverso una lettera inviata alla Commissione, con la quale ha accusato implicitamente l’UE di mettere la testa sotto la sabbia di fronte al rischio politico rappresentato dal Green Deal europeo, fino ad arrivare ad evocare la possibilità di una rivolta sociale come quella dei gilet gialli in Francia. In casa nostra, il presidente Fise Assoambiente, Chicco Testa, manager non lontano dall’Europa e dall’orientamento politico espresso dal Governo Draghi, poco più di un mese aveva avvisato l’esecutivo della necessità di creare un comitato per realizzare un rapporto scientifico sugli effetti della transizione energetica in Italia. «Con l’1% o con il 9% (la quota di emissioni di CO2 rispettivamente di Italia e Europa) – ha detto all’Agi – non cambi la storia. Non mi pare che ci sia qualcuno che stia studiando le conseguenze della transizione green sulla nostra economia». Tornando alla Cina, a causa del “power crunch”, 17 tra province e regioni hanno annunciato tagli alla produzione di energia e di conseguenza anche molti impianti hanno dovuto fare altrettanto. La crisi al momento non appare in via di soluzione, semmai di espansione. Attualmente coinvolge un’area che rappresenta circa il 66% del prodotto interno lordo del Paese asiatico. Da cosa è stata innescata la crisi e che cosa c’entra il Green Deal europeo?

Dietro alla crisi cinese ci sono i prezzi record raggiunti dal carbone e il rafforzamento delle misure per il taglio delle emissioni inquinanti, nell’ottica del contrasto al cambiamento climatico. Ma attenzione: la Cina è tra quei Paesi che, insieme a Cina, India, Giappone e anche gli Stati Uniti, a fronte di un taglio delle emissioni, sarebbe in ogni caso uno dei più temibili concorrenti dell’Europa, delle nostre imprese e quindi anche dei nostri livelli occupazionali. L’Ue, stabilendo come obiettivo nel 2050 quello di diventare il primo continente a impatto climatico zero, ha o avrebbe messo nel conto tutto ciò che ne consegue in termini di stravolgimenti di intere filiere industriali e di produzioni, di costi dei prodotti finiti e delle bollette energetiche. In quali condizioni arriveremo alla data fatidica del 2050?