di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Amato oppure odiato, il lavoro agile di massa ha una data di scadenza, il 15 ottobre. A metà del mese prossimo, infatti, in contemporanea con l’adozione obbligatoria del Green Pass nei luoghi di lavoro, nella pubblica amministrazione si tornerà in presenza per buona parte dell’orario settimanale, lasciando allo smart working un ruolo residuale, come possibilità da utilizzare magari un giorno ogni tanto per meglio conciliare lavoro e vita privata, ma ripristinando il contatto diretto col pubblico. I primi a tornare in ufficio saranno, infatti, i lavoratori addetti allo sportello, seguiti poi gradualmente dagli altri. Previsto per questo settore, come annunciato dal ministro Brunetta, un contratto specifico sul lavoro agile, che superi la fase emergenziale e semplificata attuale. Un contratto che, sulla base delle disposizioni della legge 81/2017 disciplini la “parte normativa”, giorni, orari, operatività, reperibilità, disconnessione, strumentazioni. Norme parallele a quelle per il lavoro in presenza, che chiariscano diritti e doveri dei dipendenti che operano da remoto, da stilare, auspicabilmente, assieme alle rappresentanze dei lavoratori. Se questa è la situazione del lavoro pubblico, nel privato saranno le aziende a decidere se e come portare avanti l’esperimento smart working anche dopo l’introduzione del lasciapassare verde: la modalità semplificata, infatti, è ancora in vigore, fino alla fine dello stato d’emergenza, fissata al 31 dicembre. Messi in sicurezza i luoghi di lavoro con la presenza di vaccinati, guariti e negativi al tampone, le varie imprese dei settori del terziario che in questo anno e mezzo hanno utilizzato lo smart working dovranno stabilire, mettendo sul piatto della bilancia costi e benefici, se tornare tout court alla vita di prima o se, invece, mantenere una quota più o meno consistente di lavoro agile, che, ricordiamo, fino al 2020 era una modalità lavorativa pressoché sconosciuta e comunque molto marginale in Italia. Per noi dell’Ugl – già proiettati verso un futuro nel quale speriamo non siano più necessari confinamenti causati dal virus – la soluzione migliore è quella di un giusto mix tra ufficio e lavoro agile, quando, naturalmente la tipologia di lavoro svolto lo consenta. Utilizzando la legge che già esiste e disciplinando in maniera più ampia e dettagliata il lavoro agile grazie alla contrattazione, per arrivare a un giusto equilibrio. Evitando di vedere questa modalità con sospetto e utilizzandola, invece, per conciliare meglio i tempi di vita e quelli di lavoro, ridurre alcuni costi e decongestionare le città, senza però cadere nell’estremo opposto di un lavoro sempre più individualizzato, confinato all’interno delle abitazioni mentre le città restano deserte, con conseguenze non solo economiche, ma anche sociali. Ora che, tutti lo speriamo, i momenti più critici dal punto di vista epidemiologico sembrano passati, anche lo smart working dovrà fare un salto di qualità, da misura emergenziale di massa a modalità di lavoro diffusa in combinazione con la presenza tradizionale nel luogo di lavoro. Con un occhio anche alla sicurezza della rete internet e dei sistemi informatici, data la sempre maggiore importanza di questi strumenti nelle nostre attività economiche e sociali.