Il dibattito in corso: dopo il 31 ottobre, potrebbe cambiare tutto lo scenario

Il punto di partenza è che, passato o comunque attenuatosi il momento emergenziale, lo smart working è destinato a tornare nell’alveo delle opportunità che si presentano nella gestione del rapporto di lavoro subordinato. Come ciò succederà non è dato sapere. Premesso che una legge già esiste, la legge 81/2017, le possibilità in campo appaiono tre: tutto resta come è adesso; il governo prende l’iniziativa; il processo di riforma parte dal Parlamento. In linea puramente teorica, il sistema potrebbe funzionare così come è stato congeniato nel 2017. Di certo, però, l’esperienza di diciotto mesi di lavoro agile sui generis ha evidenziato potenzialità, limiti e criticità, per cui il 31 ottobre prossimo difficilmente si può immaginare di riportare le lancette indietro di quattro anni. La seconda opzione, vale a dire un intervento diretto del governo, avrebbe il vantaggio di poggiare, verosimilmente, su di un confronto preparatorio con le parti sociali e su un veicolo legislativo più rapido. L’introduzione di incentivi fiscali, ad esempio, permetterebbe di agganciare la revisione delle norme sullo smart working alla legge di bilancio, con tempi certi di approvazione. Resta da capire quale è il punto di mediazione che i vari partiti di maggioranza riusciranno a trovare, considerando che il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, ha parlato di rientro in sede di tutti i dipendenti pubblici, mentre il suo collega Andrea Orlando ancora non si è esposto. La via parlamentare, infine, rischia di essere molto lenta.