di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Una decisione dirompente, destinata ad avere ripercussioni importanti sul mondo del lavoro nell’obiettivo del contrasto al Covid-19: il governo ha stabilito di introdurre il Green Pass obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro a partire dalla metà di ottobre, per le date ancora si aspetta il testo definitivo, sia per i dipendenti pubblici che per quelli privati. Un provvedimento con alcuni aspetti positivi, ma anche molti altri controversi e che, invece, andrebbero meglio disciplinati. Tutto il mondo del lavoro sarà “messo in sicurezza”, ma ci sono ancora molti aspetti opachi, non essendo obbligatoria la vaccinazione e rimanendo a carico del lavoratore l’onere del tampone. Dal punto di vista metodologico sarebbe stato opportuno, dato l’impatto delle decisioni assunte, coinvolgere il Parlamento e superare l’approccio emergenziale nel quale è il solo Governo a legiferare, dato che ormai, a un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, è possibile adottare misure programmabili con un discreto anticipo. Dal punto di vista del merito, il Governo ha ribadito la volontà di non assumersi la responsabilità di introdurre l’obbligo vaccinale, cercando di conciliare la libertà di scelta da un lato e il rispetto delle norme di sicurezza sanitaria dall’altro, delegando oneri e onori ai cittadini. I quali finora, nonostante gli errori comunicativi delle istituzioni, i dubbi e i timori, hanno comunque aderito in massa alla campagna vaccinale, dimostrando un notevole senso di responsabilità. Ora, però, il Governo dovrebbe agire di conseguenza, evitando ogni possibile forma di discriminazione fra chi, in piena libertà, avrà deciso di immunizzarsi e chi, altrettanto legittimamente, avrà preferito non farlo. L’unico modo per evitare ripercussioni economiche e sociali, impedire atteggiamenti repressivi o agevolazioni ai licenziamenti verso chi dovrà sottoporsi a tampone in modo continuativo è quello di rendere gratuiti gli screening, per fare in modo che la spesa non gravi sui lavoratori o sulle imprese, le quali, in caso contrario, non solo si troverebbero ad affrontare costi extra, ma tenderebbero, quantomeno nelle nuove assunzioni, a escludere i non vaccinati con contraccolpi occupazionali di cui il Paese non ha davvero bisogno. Utilizzando ad esempio i tamponi salivari, attendibili, poco invasivi e meno costosi. Con un moto di coraggio e un investimento concreto andrebbe presa questa strada, capace di sintetizzare le varie esigenze, anche in un’ottica di coesione sociale, per spegnere contrapposizioni dannose – no vax contro sì vax – e tornare a combattere, unitamente, il vero “nemico”, ossia il virus. Si tutelerebbe così la salute pubblica, si agirebbe in modo consequenziale rispetto alla scelta di mantenere la volontarietà della vaccinazione, si salvaguarderebbero lavoratori e imprese dal punto di vista sia sanitario che economico. Senza, comunque, far venir meno l’appello costante a preferire la via dell’immunizzazione.