di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Tutti abbiamo voglia, dopo quasi due anni di pandemia, di gettarci alle spalle questo drammatico periodo, chiudendo nel cassetto dei brutti ricordi il bollettino dei contagi e dei decessi, il gel e le mascherine, i distanziamenti e le chiusure. E tornare, finalmente, al mondo di prima. Fra i nuovi stili di vita introdotti a causa del virus, il lavoro agile per gli impiegati, pubblici e non, addetti a mansioni svolgibili anche da remoto tramite pc e connessione internet. Prima quasi sconosciuto in Italia, poi prassi quotidiana per milioni di lavoratori, lo smart working ha consentito di svuotare le città, i mezzi pubblici e gli uffici ed evitare una maggiore diffusione del Covid, senza però interrompere lavoro e produzione. Ha comportato quindi grandi benefici nei momenti peggiori dell’emergenza, ma ha anche determinato conseguenze drastiche, dal punto di vista sociale ed economico. Per le attività commerciali normalmente rivolte a impiegati e pendolari rimaste a corto di clienti. Per gli utenti – specie della pubblica amministrazione – con gli sportelli chiusi e la necessità di usare, non sempre agevolmente, altri canali di contatto. Per le imprese e gli enti pubblici, obbligati a una riorganizzazione improvvisa. Per i lavoratori stessi, liberati dall’onere dello spostamento verso il luogo di lavoro, ma catapultati in una nuova dimensione non sempre agevole quanto a tempi, mezzi e spazi e non ben definita dal punto di vista dei diritti e dei doveri. Ora alcuni parlano di un’eliminazione pressoché totale dello smart working, già a breve, grazie alla campagna vaccinale e al green pass, soprattutto nel pubblico impiego e il riferimento evidente è al ministro Brunetta. Altri, invece, sono più orientati verso un uso diffuso di questo strumento anche nel futuro post-pandemico. Dal nostro punto di vista la miglior soluzione, come spesso accade, è nel mezzo. Da un lato è necessario ripopolare le città, dall’altro evitare un ritorno al congestionamento precedente, di strade e mezzi pubblici, almeno finché non saranno risolte alcune criticità, relative alla pandemia e non solo. Da un lato occorre aprire gli uffici per recuperare un rapporto più diretto e funzionale col pubblico, dall’altro impostare anche modalità moderne di lavoro, alcune delle quali, se ben strutturate, convenienti dal punto di vista economico e logistico per imprese, dipendenti, e utenti. Da un lato occorre recuperare la presenza in ufficio, utile alla carriera e al senso di comunità nel luogo di lavoro, dall’altro mantenere un’elasticità organizzativa, funzionale alla conciliazione tra vita lavorativa e privata. Dovremmo mantenere, in sintesi, gli aspetti migliori archiviando quelli peggiori, organizzando adeguatamente il lavoro agile mediante regole certe e condivise a tutela delle aziende, pubbliche e private, dell’utenza o della clientela a seconda della tipologia lavorativa, e dei lavoratori dipendenti, nell’ambito di un quadro contrattuale adeguato e ben definito. Facendone un uso razionale e mirato, per ricavare, dall’esperienza drammatica della pandemia, qualcosa di utile anche dal punto di vista di un’organizzazione del lavoro più moderna, efficiente e positivamente flessibile.