Il ritorno dei talebani a Kabul ha sorpreso, prima di tutti, i governanti dei Paesi occidentali, come hanno ammesso gli inglesi. Difficile immaginare cosa potrà succedere nei prossimi mesi. A fronte di vaghe promesse di coinvolgimento, la speranza per l’Afghanistan è riposta nella mobilitazione femminile

Abbiamo già avuto modo di commentare quello che sta succedendo a Kabul e in Afghanistan in queste settimane, da quando i talebani, senza incontrare resistenza alcuna, si sono ritrovati, quasi improvvisamente, nella capitale il giorno di ferragosto. La cosa che deve far pensare, non è tanto la sorpresa nostra e di buona parte della popolazione mondiale rispetto all’accaduto, quanto, piuttosto, la confessione esplicita del governo inglese, il cui ministro degli esteri, in Parlamento, ha ammesso candidamente che neanche loro si sarebbero mai aspettati un tale tracollo da parte del governo locale. Una confessione che avrebbe dovuto fare per tempo anche lo stesso ministro Luigi Di Maio, del quale, purtroppo per lui, si ricorderà la foto al mare. Di foto storiche questi venti anni passati dall’11 settembre del 2001, ne abbiamo tante. Dai due Boeing che si schiantano sulle Torre gemelle allo sgomento del presidente George W. Bush, impegnato in una scuola; dalla caduta della statua di Saddam Hussein all’altro presidente Barack H. Obama che assiste all’assalto del gruppo speciale dei marines al covo di Osama bin Laden, passando per le tante immagini di persone insanguinate che escono da una stazione della metropolitana, da un concerto, da una corsa podistica, da una discoteca. Difficile dire cosa accadrà nei prossimi mesi. Pur volendo credere alle rassicurazioni dei talebani, le prospettive non appaiono oggettivamente rosee. La speranza, però, in questo caso ha la voce delle donne, come ha ben raccontato un servizio del corrispondente di guerra Fausto Biloslavo, andato in onda sul telegiornale di Rete4. Il risultato finale di questa partita è soprattutto nelle loro mani, mai come questa volta.