di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Cos’è che rende coesa una comunità, che fa di uno Stato una Nazione e di un’Organizzazione di Stati un’Unione politica? Dal ritiro rovinoso degli Usa dall’Afghanistan e grazie alle parole del nostro Capo dello Stato sulla necessità «non più procrastinabile» di una difesa comune europea o, per altri, di un «esercito europeo pronto a schierarsi», si è iniziato a capire quanto sia importante per l’UE incidere di più nella politica estera e di difesa. Tecnicamente parlando, sarebbe utile all’UE dotarsi di una forza di intervento rapido unica, un contingente a specializzazioni differenziate, che in caso di necessità sia adatto sia a fare operazioni di “peace keeping” sia a lungo termine.

Una forza che sulla carta potrebbe già esistere, ma necessiterebbe, appunto, di un presupposto: una politica estera e di difesa unica. Sarebbe oggi difficile indicare quegli ambiti o quei temi di politica estera e di difesa coordinabili attraverso un’unica visione. Sappiamo molto bene, infatti, che gli Stati europei non hanno i medesimi obiettivi, interessi e relazioni in campo economico e in politica estera. Due esempi per tutti, la Libia e le politiche di immigrazione. Quello che occorre è, invece, un’integrazione molto più spinta, un’Europa delle Nazioni e non quella che governa i processi esclusivamente o prioritariamente attraverso la bussola dei parametri finanziari e commerciali. Non più, per essere chiari, quella nata dalla “fusione a freddo” realizzata attraverso la moneta unica.

Si dirà: l’Europa, dopo la pandemia, dopo Next Generation Eu e i relativi Recovery Plan nazionali, dopo la sospensione del Patto di stabilità, è cambiata, è più solidale. Meglio non scommetterci sopra. Il Consiglio direttivo della Bce, nel corso della riunione di settembre, ha deciso di rallentare o di rimodulare il ritmo dell’acquisto di titoli di Stato, depotenziando così il famoso bazooka ovvero le misure di stimolo che hanno evitato, a suo tempo, il collasso dell’euro e che ora sostengono o dovrebbero sostenere un’ancora più complessa ripresa dell’economia devastata, post misure anti-Covid. Segnale che infatti è apparso subito sospetto, tanto che la presidente Christine Lagarde ha dovuto spiegare che non si tratta (ancora) di un ritiro, cioè di un’inversione di marcia della politica monetaria (“tapering”). Evidentemente, le pressioni dei falchi, guidati dal tedesco Weidmann, stanno iniziando a farsi sentire, sostiene Il Giornale. Segnale indirettamente confermato da La Stampa che, con Marcello Sorgi, riferisce come i cosiddetti “Paesi frugali” (i falchi altrimenti denominati) siano già pronti a porre la questione del ritorno al Patto di Stabilità, mentre l’emergenza è ancora in corso. 

Ecco che cosa, davvero, impedisce la nascita di una politica comune di difesa e di una vera Unione.