Smart working, il dibattito continua: Brunetta e Boeri a confronto. Il ministro della Funzione pubblica sostiene che quello utilizzato nella PA è casomai «lavoro domiciliare forzato». Per Boeri «ce ne sarà di più»

Mentre procede il difficile cammino del Governo tra estensione del Green Pass e eventuale obbligatorietà del vaccino, continua il dibattito su uno strumento che ha permesso di contrastare il contagio da Covid-19, evitando la cancellazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, riferendosi al pubblico impiego, ha scritto una «Lettera ai difensori (ipocriti) dello smart working nella Pa» pubblicata oggi dal “Foglio”. «Una modalità di lavoro che viene chiamata smart working, ma che senza adeguati cambiamenti organizzativi e digitali dei processi produttivi, non è smart working». «Poiché in gioco c’è la vita quotidiana di milioni di persone, occorre fare chiarezza e riportare il dibattito su binari di realtà». Ovvero «quello che è stato sperimentato in massa nella PA italiana, non è lo smart working inteso come filosofia manageriale e modello di organizzazione strutturato ispirato a flessibilità, autonomia e responsabilità», quanto «piuttosto una forma di lavoro domiciliare forzato». Ciò detto «nonostante gli innegabili meriti “sanitari” di questa soluzione, che ha permesso per quanto possibile la continuità dei servizi e ha tutelato la sicurezza dei lavoratori». Lo dimostrerebbe il fatto che «si è proceduto a colpi di deroghe, innanzitutto con il venir meno della necessità dell’accordo individuale». D’altronde «non esiste ancora una piattaforma sicura dedicata allo smart working nella PA, l’interoperabilità delle banche dati è un processo in fieri, spesso i dipendenti sono stati costretti a lavorare ricorrendo ai propri computer e ai propri device». Per Brunetta «l’esperienza non sarà cancellata, al contrario: sarà una lezione», auspicando che si arrivi, grazie ad una «efficace azione riformatrice, con il coinvolgimento delle parti sociali e di tutta la PA», allo smart working «quello vero però: dalla parte dei cittadini e dalla parte delle imprese». Ma il tempo è tiranno e non attende i tempi, fino a ieri magari, biblici della PA italiana. L’economista Tito Boeri, in un’intervista a Radio Immagina, ha risposto al ministro della Funzione pubblica: «È chiaro che dopo la pandemia ci sarà più lavoro in remoto, non si può dire semplicemente che lo smart working non sarà un modello per il futuro. Ce ne sarà di più e bisognerà pensare piuttosto a come organizzarlo in modo adeguato». «Il lavoro in remoto gestito bene può essere anche un modo per migliorare la qualità del lavoro ed è inevitabile che questo tipo di lavoro diventi più importante in futuro. Ovviamente deve essere bene organizzato e bisogna pensare ai problemi, come ad esempio quelli abitativi che rischiano di creare disuguaglianze tra i lavoratori. Problemi e vantaggi che vanno affrontati e regolamentati adeguatamente». Distanze soltanto apparenti.

Giovannini: «È previsto un calo degli spostamenti per studio e lavoro e dell’uso del mezzo pubblico. Il Covid ha un ruolo importante in queste scelte, ma anche la prosecuzione dello smart working»