di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

L’11 settembre, tragico anniversario del quale quest’anno ricorre il ventennale, è per il mondo intero e soprattutto Occidentale un ricordo indelebile, un punto di non ritorno. Quel giorno l’Occidente si è fermato e ha tremato di fronte ai quattro attacchi suicidi, coordinati e realizzati dai gruppi terroristici di al-Qaida, che tra New York e Washington hanno causato la morte di 2.977 persone innocenti e di 19 attentatori, più 6.000 feriti. Le conseguenze degli attentati non solo hanno determinato, a lungo termine, altri decessi e malattie, dovuti alle migliaia di tonnellate di detriti tossici generati dal collasso delle Torri gemelle, tra i quali l’amianto, con più di 2500 agenti contaminanti, ma hanno anche generato effetti economici, sociali, culturali e politici percepibili fino ai nostri giorni.

Il terrorismo internazionale di matrice islamica divenne il nuovo nemico, surclassando la minaccia rappresentata per decenni dal comunismo e dall’Urss, giustificando l’intervento in Afghanistan nell’ottobre 2001 contro i talebani, colpevoli di aver garantito appoggio e rifugio agli organizzatori degli attacchi, cioè ad al-Qaeda guidata allora da Osama bin Laden. Poi l’invasione due anni dopo dell’Iraq a causa dei legami tra al-Qaida e Saddam Hussein, successivamente confutati dagli 007 inglesi, proprio nel giorno in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto convincere l’Onu e il mondo intero della colpevolezza di Saddam. Fu Guerra Globale al Terrore che divenne uno dei capisaldi della politica estera statunitense.

Quale bilancio a vent’anni di distanza? Non è necessario essere degli esperti di politica internazionale per accorgersi che la Guerra Globale al Terrore non ha portato ai risultati sperati. Tanto che, oggi, non sarebbe fuori luogo da parte dell’UE e dei Paesi che, volenti o nolenti, hanno sostenuto quelle scelte di politica estera per «esportare democrazia e diritti», chiedere conto agli Usa di quanto sta accadendo. Non a caso dopo il rovinoso ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan e l’immediata caduta del governo filoamericano di Kabul, molti commentatori hanno parlato di “fine dell’americanismo”. Oggi i «nuovi talebani moderati», gli stessi terroristi di 20 anni fa, sono a capo del nuovo governo provvisorio afghano: il premier, il mullah Mohammad Hasan Akhund, è nella lista delle persone sanzionate dalle Nazioni Unite. Il suo vice, mullah Baradar, è un ex galeotto, incarcerato per otto anni in Pakistan su richiesta degli Stati Uniti. Difesa e Interno, rispettivamente assegnati alla shura di Quetta, il consiglio del nucleo originario dei talebani fuggiti in esilio, e al network Haqqani, un gruppo alleato dei primi talebani, diventato sempre più potente grazie anche ai legami con il terrorismo internazionale. Sirajuddin Haqqani, il ministro, è nella top list dei ricercati dell’Fbi. Se questa è una vittoria…