di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Anche oggi il dibattito più che giustificato sul Reddito di Cittadinanza e sull’opportunità di regolarlo, se non addirittura cancellarlo, è al centro del dibattito politico. L’idea prevalente nel Governo e in particolare nelle intenzioni del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sarebbe quella di mantenerlo in vita, ma per migliorarlo, perché è uno strumento che negli ultimi due anni ha consentito di arginare il dilagare della povertà nel nostro Paese ed attutire gli effetti della crisi. Ma è altrettanto vero che lo strumento ha decisamente vacillato in quello che è o, meglio, avrebbe dovuto essere il suo secondo pilastro: le politiche attive del lavoro. Cioè nell’individuare, a vantaggio dei beneficiati e per evitare forme di pernicioso assistenzialismo, nuovi posti di lavoro. Tant’è vero che ha funzionato in quelle Regioni, come il Veneto, nelle quali i Centri per l’Impiego funzionavano già. Il problema è che non sono molte e soprattutto non funzionano laddove ce ne sarebbe più bisogno, nel Mezzogiorno. Come risulta dai dati, complessivamente, ancora esistono ben 750mila percettori di Reddito di Cittadinanza che aspettano una nuova occupazione. Per ampliare ancora di più la riflessione, è opportuno ricordare che a febbraio 2021 gli occupati erano 22.197.000, ovvero 945.000 in meno rispetto a febbraio 2020, segnando un crollo dell’occupazione pari al 4,1 per cento.

Dunque, le parole espresse oggi dal ministro dello Sviluppo economico, restassero anche nel solco di una provocazione intellettuale, sono condivisibili e vanno prese in considerazione: per Giorgetti il Reddito di Cittadinanza si dovrebbe trasformare in Lavoro di Cittadinanza, visto che la nostra Costituzione all’articolo 1 sancisce che «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il mancato funzionamento del secondo pilastro fondamentale del Reddito di Cittadinanza, appunto le politiche attive del lavoro, ha generato delle distorsioni nel campo della domanda e dell’offerta di lavoro preoccupanti di per sé ma ancora di più alla luce della crisi occupazionale, conseguente alle misure scelte per contrastare la pandemia, che l’Italia ha il dovere di contrastare. Spesso ci dimentichiamo che in Italia non c’è soltanto la piaga della disoccupazione da combattere, ma anche quella del lavoro nero. Purtroppo, il Reddito di Cittadinanza, invece di abolire la povertà, – quella assoluta nel 2020 ha colpito 2 milioni di famiglie – si è rivelato un formidabile incentivo al lavoro nero nonché all’illegalità, vista la considerevole quantità di illegittimi percettori di reddito, persino con precedenti per reati di tipo mafioso.

Per tutte queste ragioni, e non solo, torniamo a ribadire, come sindacato UGL, l’inadeguatezza di misure come il reddito di cittadinanza.