Il Pil in 25 anni è cresciuto 4 volte in meno rispetto alla media nazionale

I divari territoriali in Italia sono una delle costanti nelle performance economiche e nella qualità della vita, «non costituirebbero di per sé un problema centrale di politica economica se fossero meramente accidentali e transitori e, soprattutto, se non conseguissero a una cattiva allocazione delle risorse», spiega Confcommercio nel rapporto sul Sud diffuso oggi, mirato a «stigmatizzare il sottoutilizzo delle ingenti risorse produttive, culturali, turistiche e imprenditoriali residenti nel Mezzogiorno». Emerge, in primo luogo, l’acuirsi dei divari, almeno a partire dalla crisi del 2008: prima di tutto il rapporto tra il prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,53. Poi, la questione dell’occupazione, strettamente «collegata alla popolazione residente». «Non deve sfuggire – sottolinea Confcommercio – che il tema della produttività, quello delle condizioni economiche e sociali di vita e, infine, quello della scelta di risiedere o piuttosto di emigrare, sono strettamente collegati».

La dimensione quantitativa della perdita di popolazione, soprattutto giovane, sottende quello dell’occupazione: la riduzione del peso del Sud in termini di popolazione è passata dal 36,3% al 33,8%. L’Italia dal 1995 al 2021 nel complesso ha perso 1,4 milioni di giovani (da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni) e «tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali». Un vero e proprio crollo se si pensa che rispetto al 1995 mancano nel Sud oltre 1,6 milioni di giovani. D’altronde «le condizioni e le prospettive di vita e di lavoro del nostro Sud disincentivano le scelte delle donne in termini di partecipazione al mercato del lavoro, ne riducono le scelte di maternità, incoraggiano sistematicamente l’emigrazione dei giovani meridionali verso altre regioni». Da qui, non solo avranno minore efficacia incentivi all’occupazione meridionale, decontribuzioni e regimi di favore, ma soprattutto si dimostra che «la prima fonte della crescita ha radici nella dinamica della demografia». Al di là dei problemi cronici del mercato del lavoro nel Sud, «a fronte di una crescita del 16,4% delle unità standard di lavoro per l’Italia, nei quasi cinque lustri considerati l’occupazione del Sud cresce di poco più di quattro punti». Tendenze negative che «si innestano in un quadro problematico di riduzione del tasso di auto-imprenditorialità». Tutto ciò «è causa e conseguenza al contempo del declino del Sud, nonostante la presenza di forze vitali che chiedono solo condizioni adeguate di attivazione». Basti pensare che «nel 2019, un anno “normale”, alcune regioni meridionali non hanno partecipato al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo». Ovviamente la crisi generata dal Covid-19 non ha fatto altro che aggravare questa situazione.

«Mentre fino agli anni ‘90 l’emigrazione da Sud a Nord allargava la base produttiva delle regioni italiane più ricche e produttive, oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi»