di Francesco Paolo Capone – Segretario Generale UGL
Secondo le parole di un’anonima «big giallorosa», riportate da Il Fatto Quotidiano, nel caso di un’eventuale salita al colle da parte di Mario Draghi non basterebbe l’appoggio di Renzi, Salvini e Berlusconi. Il premier avrebbe bisogno di «garanzie» e di «affidabilità» ovvero del sostegno dei giallorosa. Guardando al Pd, sappiamo che il suo segretario ha scelto di correre a Siena senza simboli di partito – né di quello di cui è leader, né degli altri che fanno parte dell’alleanza – alle suppletive nel collegio uninominale della Camera lasciato vacante dall’ex ministro Pier Carlo Padoan. Siena, teatro di disastri del Monte dei Paschi, le cui responsabilità vanno ascritte interamente allo stesso grande partito. Forse proprio per questo Letta ha scelto di correre senza simbolo, ma ognuno preferisce cantarla e suonarla come meglio crede: secondo il Pd toscano la corsa senza simboli «ci sta» in un collegio uninominale, mentre per Letta il PD rappresenta «soltanto un pezzo» del consenso che lui stesso sta costruendo e ampliando, con uno sguardo al futuro. Un futuro a livello nazionale – perché quello di Siena non promette niente di buono – che guarda al M5s e a ciò che di esso ne resterà dopo trasformazioni, virate a 180 gradi, ripensamenti e emorragie di parlamentari. Che si rispecchiano anche nelle parole del leader dello stesso M5s, Giuseppe Conte: in un’intervista al Corriere della Sera ha difeso a spada tratta l’ultimo – o al massimo penultimo – vessillo pentastellato: il Reddito di Cittadinanza. Per l’ex premier sono sempre gli altri a fare demagogia: su una materia come l’immigrazione, per difendere l’operato del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, è andato a ripescare nella sua manipolata memoria il periodo in cui era a capo del Governo formato da Lega e M5s, dimenticandosi di aver seguito un programma di Governo, sancito e sottoscritto in un contratto, e distinguendosi oggi – ma non lo ha fatto ieri – dalle scelte dei suoi ex ministri.
Da sindacalista, ciò che preoccupa di più è constatare come “il Conte di oggi” continui a difendere il RdC senza alcun riferimento al suo secondo, fondamentale, pilastro mai realizzato: le politiche attive per il lavoro, attraverso il rilancio dei Centri per l’impiego, mirate a riqualificare o a far rientrare i beneficiari del RdC nel mondo del lavoro. Diventa difficile, nonché agghiacciante, immaginare che un futuro fatto di milioni di assistiti senza lavoro, e quindi disoccupati, possa essere auspicabile per chiunque e, in particolare, per Draghi.
Ma se davvero sono questi i paladini su cui può contare il futuro inquilino del Quirinale, la corsa al Colle appare già da oggi, pur trovandosi soltanto nel mondo delle ipotesi, piuttosto accidentata.