Dove investire per dare “competitività’” alla cultura?

di Mario Bozzi Sentieri

Possono bastare i 6,68 miliardi di euro destinati dal PNRR alla Cultura e Turismo per rilanciare uno dei settori strategici del nostro Paese?  Sulla carta le aspettative sono tante. In testa la digitalizzazione delle imprese culturali e creative e del patrimonio culturale e artistico, con la creazione di piattaforme digitali e poi – a seguire – progetti finalizzati a migliorare l’efficienza energetica del settore;  la rimozione delle barriere architettoniche in musei, biblioteche, archivi; il piano per l’attrattività dei borghi; la protezione e la valorizzazione dell’architettura del paesaggio rurale; programmi per i parchi ed i giardini storici; interventi dedicati alla  prevenzione antisismica per chiese, campanili e torri e interventi di restauro delle chiese; sviluppo dell’industria cinematografica; piano strategico per 14 Grandi contenitori culturali.

Di fronte a questi progetti, dai tratti “faraonici”, ciò che pare mancare è l’attenzione verso la fitta e complessa rete di siti, di musei, di cultura “diffusa” presenti nel Paese. Realtà spesso sottovalutate e lasciate ai margini dei grandi flussi turistici e delle attenzioni istituzionali, che rappresentano però il tessuto connettivo della nostra identità nazionale ed il valore aggiunto rispetto ai grandi e ben noti “contenitori culturali” concentrati in alcune città-simbolo (Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Venezia). I numeri parlano chiaro.

In Italia disponiamo di 4739 musei (e istituzioni similari), circa 5700 beni immobili archeologici vincolati, 46 mila beni architettonici vincolati, oltre 62mila archivi, più di 12 mila biblioteche. Il Ministero per i beni e le attività culturali affida questo sterminato patrimonio culturale a circa 20 mila dipendenti, con un’età media di 51 anni. Tra questi si contano meno di 350 archeologi, 280 restauratori, 500 storici dell’arte: nella media mille dipendenti per regione. Un po’ poco per sostenere il peso gestionale del patrimonio artistico più ricco del mondo, che richiederebbe attenzioni specifiche, costanti, specializzate. E non solo secondo quelle logiche “promozionali”, che sembrano essere alla base del PNRR.

Oltre la digitalizzazione c’è infatti bisogno di figure professionali in grado di sviluppare politiche “ordinarie” di tutela/gestione del patrimonio culturale esistente. Da qui la necessità di implementare l’occupazione nei diversi segmenti della cultura, innalzare il livello della formazione, integrare la tutela dell’esistente e la sua valorizzazione, attraverso la sinergia  tra pubblico e privato. “Privatizzare” l’arte non significa cedere porzioni del patrimonio nazionale, ma certamente favorire l’afflusso di risorse private e di modalità gestionali dinamiche e “produttive”, in grado di realizzare veramente l’auspicata promozione dei beni artistici, di migliorare l’occupazione del settore, di abbassare l’età media degli addetti.

Anche qui occorre “fare sistema”, puntando a creare “valore aggiunto” al comparto culturale e turistico, un comparto che rappresenta un’eccellenza italiana, ma che deve fare i conti con l’aggressività di altri Paesi europei, con standard gestionali e promozionali sempre più competitivi. La politica dei tagli, praticata nel passato, deve – in definitiva – essere sostituita da una nuova politica culturale di ampio respiro, capace di favorire la modernizzazione del settore, grazie anche all’apporto di nuove risorse economiche, puntando però ad una generale crescita professionale del settore e a nuove strategie di valorizzazione/promozione del nostro patrimonio culturale. A partire dai territori, da una gestione integrata dei servizi culturali fino ad arrivare a forme di affidamento in   concessione ai privati dei musei.

Digitalizzare insomma non basta. Nella centralità della nostra Cultura  occorre crederci e lavorare di conseguenza, a partire dalla professionalità di quanti nel settore operano quotidianamente e dalla realizzazione di approcci innovativi nella gestione. Consapevoli tutti che da qui, anche da qui, passa la sfida del nostro futuro nazionale, sfida in grado di coniugare le necessità della modernizzazione e quelle della conservazione di una grande memoria da rivendicare con orgoglio.