di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Certo, la logica, come si sente dire da fonti governative, non deve essere “punitiva” verso le imprese. Bisognerebbe, piuttosto, fare in modo di trasformare l’Italia in un luogo attrattivo nel quale produrre, attraverso riforme e investimenti mirati, che risolvano i problemi noti: fisco, burocrazia, giustizia infrastrutture, energia, pubblica amministrazione. È però altrettanto necessario pretendere serietà e responsabilità, nei confronti dei lavoratori e della comunità, specie da parte di quelle aziende che beneficiano di aiuti e incentivi pubblici, compresi quelli diretti e indiretti degli enti locali. Il tema delle delocalizzazioni è una questione importante per un Paese che non può immaginare un futuro di desertificazione industriale e che quindi deve intervenire prima che sia tardi. Senza dimenticare nessuna delle due questioni, onde evitare risultati controproducenti: da un lato bisogna creare condizioni favorevoli per la produzione e l’impresa, dall’altro, però, occorrono tutele per lo Stato stesso oltre che, naturalmente, per i dipendenti direttamente interessati. Non possiamo più tollerare comportamenti lesivi della dignità non solo dei lavoratori, ma anche del Paese, come quelli che sono stati attuati dalle multinazionali capaci di licenziare via Whatsapp o di abbandonare siti retti non solo dal rischio di impresa e dall’investimento privato dei titolari, ma anche mediante corposi sostegni, incentivi, detassazioni pagate con i fondi dei contribuenti. Possibile che non si riesca a trovare una sintesi che eviti logiche antindustriali e che allo stesso tempo contrasti comportamenti scorretti anch’essi inaccettabili? Ecco, di nuovo, cosa significa, nel concreto, essere “l’altro sindacato”: cercare di difendere produzione e lavoro. Perché, se non possiamo permettere comportamenti scorretti da parte delle imprese, non dobbiamo neanche nascondere l’evidenza: se il Paese non è attrattivo, causa cuneo fiscale, costi di produzione ed altro, inevitabilmente, in tempi di globalizzazione, chi può investirà altrove, a danno della nostra economia e della nostra occupazione. Nella bozza predisposta dal Governo sul tema delocalizzazioni ci sono alcune novità importanti sul lato delle tutele per i lavoratori delle grandi industrie già presenti nel Paese. La bozza attuale, che ci piacerebbe discutere su un formale tavolo istituzionale, si riferisce alle aziende con almeno 250 dipendenti, sancendo obblighi di informazione e comunicazione a istituzioni e lavoratori su progetti di chiusura e piani operativi da attuare per mitigare le ricadute economiche e occupazionali, interventi per la gestione non traumatica di eventuali esuberi, progetti per la formazione dei lavoratori e la riconversione dei siti produttivi. Tempistiche da rispettare, sanzioni in caso di mancata presentazione o approvazione dei piani e anche preclusione all’accesso a contributi, finanziamenti o sovvenzioni pubbliche comunque denominate per un periodo di cinque anni dalla data di scadenza del termine per la presentazione, infine un monitoraggio per verificare il rispetto dell’attuazione di tempi e modalità di realizzazione dei piani stessi. Questa la bozza attuale. Un passo avanti, ma la direzione deve essere chiara: rendere l’Italia un Paese competitivo da un lato, pretendere correttezza verso lo Stato e i lavoratori dall’altro, due elementi entrambi necessari in una prospettiva di crescita e sviluppo.