Dopo il ritiro americano, continua l’avanzata delle forze talebane. Gli Usa: conquisteranno la città entro 90 giorni

Ora è la volta di Ghazni, città a 150 chilometri dalla capitale, il decimo capoluogo di provincia conquistato dai Talebani nell’arco di una settimana, caduta nelle scorse ore. Una conquista che fa temere un precipitare della situazione più rapido del previsto, con Kabul a rischio di essere presa al massimo entro tre mesi. Un’avanzata che al momento sembra inarrestabile e di fronte alla quale le forze di sicurezza afghane non sembrano in grado di resistere e che porta con sé atrocità a danno dei civili e fughe di massa dalle città conquistate. Eppure, nonostante l’irritazione del Pentagono, con i vertici delle forze armate Usa preoccupati degli effetti del ritiro americano, che potrebbe rivelarsi un clamoroso boomerang, capace di condizionare gli assetti politici di tutta l’area e avere conseguenze pericolose, e le critiche crescenti per aver abbandonato, di fatto, l’Afghanistan nelle mani dei Talebani, Biden dichiara di non aver affatto cambiato idea: «Non sono pentito» ha dichiarato il presidente ai giornalisti, motivando la propria decisione affermando che «È ora che i leader afghani si mettano assieme e comincino a combattere per conto loro, per il loro Paese» e ricordando gli ingenti costi, sia in termini economici che di vite umane sostenuti dagli Stati Uniti per la propria presenza in Afghanistan durata vent’anni. Una presenza che, evidentemente, in tutto questo lungo lasso di tempo e nonostante la forza messa in campo dalla superpotenza, è riuscita solo a contenere, ma non a debellare, la presenza talebana nel Paese. Secondo indiscrezioni, gli Usa starebbero per evacuare l’ambasciata di Kabul, lasciando solo il personale essenziale. L’Europa, invece, teme una nuova ondata di profughi provenienti dall’Afghanistan e si divide sulle procedure di rimpatrio dei migranti afgani ora in pericolo di vendette talebane tornando in Patria. Si profila sempre più centrale il ruolo della Turchia, non solo nella gestione dei profughi, ma anche a causa dell’intenzione manifestata da Ankara di assumersi maggiori responsabilità in Afghanistan, prendendo, di fatto, il posto lasciato libero dagli americani.