Ha iniziato Google, ma nei fatti le retribuzioni si sono già ridotte sensibilmente

Il primo caso esplicito di riduzione dello stipendio per effetto dello smart working arriva dagli Stati Uniti, con Google che ha annunciato ai propri dipendenti che, se vogliono utilizzare il lavoro agile, dovranno accettare un adeguamento al ribasso della retribuzione, andando così a perdere una serie di voci strettamente connesse alla presenza fisica in sede. Qualcosa che, nei fatti, è già accaduto in Italia fin dai tempi del primo lockdown, quando, per esigenze di contenimento della diffusione del virus, si impose a milioni di lavoratori e lavoratrici di lavorare a distanza, utilizzando nella stragrande maggioranza dei casi reti domestiche, meno sicure di quelle aziendali, e strumentazione propria. Del resto, è appena il caso di ricordare che, nel quantificare i benefici del lavoro agile, l’allora ministra della funzione pubblica del governo Conte 2, Fabiana Dadone, parlò di almeno cinquanta milioni di euro di risparmio, dovuti però non a misure di efficientamento, quanto piuttosto al taglio di straordinari e dei buoni pasto. Una situazione che si ripresenta pure nel privato, tanto che Cgil, Cisl, Uil e Ugl, a più riprese, sia ai tavoli ministeriali che su quelli di categoria, hanno ribadito che lo smart working può e deve essere una occasione, ma per tutti, lavoratori dipendenti compresi che non possono essere penalizzati economicamente né sotto il profilo della carriera.