Verso lavori pesanti. Dopo l’Unità d’Italia milioni di italiani si muovono verso il nord Europa e le Americhe

La frase («Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani») è attribuita a Massimo D’Azeglio, anche se, verosimilmente, siamo davanti ad un pensiero comune al momento dell’Unità d’Italia nel 1861. Ed invece, proprio mentre il Paese portava a compimento quel faticoso processo di unificazione passato attraverso le guerre risorgimentali e le forti polemiche sul ruolo dei Savoia, di Camillo Benso conte di Cavour, di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini, il neonato Stato italiano conosceva quella che, sui libri di scuola, è indicata come la prima grande emigrazione. Fra il 1861 e la fine della Prima guerra mondiale, poco meno di 19 milioni di nostri connazionali lasciarono l’Italia con destinazione Francia, Germania, Svizzera e, in seguito, le Americhe, in particolare Argentina, Brasile e Uruguay al sud e Stati Uniti e Canada al centro-nord. Soltanto in seguito, l’emigrazione italiana si spinse anche sulle coste dell’Africa, in particolare l’area mediterranea. Rispetto alla provenienza, ad emigrare sono, nella fase iniziale, soprattutto i residenti nelle regioni del nord Italia, conferma indiretta del fatto che la questione meridionale è cosa successiva; l’inversione di tendenza è, infatti, successiva, agli albori del ventesimo secolo, quando a muoversi sono principalmente i contadini del Mezzogiorno, Abruzzo compreso. Larghissima parte dei nostri immigrati, in quegli anni, sono contadini, privi di qualsiasi qualifica professionale e conseguentemente destinati ai lavori più umili, faticosi e pericolosi.