di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Oggi è d’obbligo dedicare un pensiero ad Antonio Pennacchi, che ci ha lasciato ieri a 71 anni dopo una vita unica e intensa. Tra le diverse esperienze e i vari ruoli impersonati dall’intellettuale pontino, tutti degni di nota, sarà alla fine ricordato con la definizione che deriva dal titolo di un suo romanzo, in parte autobiografico: “il fasciocomunista”. Un’eresia, certamente. Un ossimoro, come potrebbe a prima vista sembrare, invece, no. Un personaggio amato o anche a volte detestato, non, come spesso accade, per “partito preso”, ma in modo trasversale. Proprio per il suo essere orgogliosamente indipendente, ostile alle facili etichette e spesso controcorrente. Un polemista che non le mandava a dire a nessuno, attirando così molte simpatie e anche qualche antipatia. È stato un politico, giovanissimo militante nel Msi e poi coi marxisti-leninisti, con esperienze nel Psi e nel Pci e infine promotore di un’iniziativa nell’area FlI a Latina, sua città natale. Tanto idealista quanto disincantato. Sindacalista, nella Uil e nella Cgil, dalla quale venne espulso. Operaio dell’Alcatel Cavi, laureato in lettere e filosofia durante un periodo di cassa integrazione. Infine e soprattutto uno scrittore di indiscusso talento, vincitore di importanti premi, dallo Strega in poi, apprezzato unanimemente. Capace di trasformare in epopea la storia recente dell’Agro Pontino. L’Italia, comunque la si pensi, gli deve qualcosa. Ha permesso a tutti noi, e non solo a coloro che più da vicino hanno vissuto gli eventi e i luoghi da lui raccontati, di sapere cosa hanno veramente rappresentato la bonifica delle paludi, la nascita delle “città di fondazione”, l’insediamento di migliaia di coloni venuti dal Nord nelle aree del basso Lazio. Un esperimento unico dal punto di vista sociale, politico ed economico, ingegneristico ed urbanistico. Una visione grandiosa, trasformata in realtà grazie al lavoro di migliaia di persone. Le vicende, fatte di luci ed ombre, di queste terre e dei loro abitanti, dal secolo scorso ad oggi, sono una parte significativa della nostra storia nazionale. Un’esperienza per certi versi ineguagliabile, ma ancora poco scandagliata, quasi sempre osservata sotto la lente distorta non tanto delle ideologie, quanto degli ideologismi ottusi e di maniera. Anche la destra, con la quale aveva avuto rapporti tanto intensi quanto altalenanti, gli deve qualcosa. Grazie a Pennacchi anche il grande pubblico, quello meno capace di districarsi nel complesso mondo della politica – fatto di filoni di pensiero minoritari, ma tutt’altro che marginali – tramite gli scritti, le parole e le vicende di Pennacchi ha potuto conoscere meglio quella componente sociale che è stata una parte importantissima, decisiva e certamente una fra le migliori della destra italiana, spesso però misconosciuta, specie da quando molto del dibattito si è ridotto in facili slogan e schematismi di comodo.