Confcommercio: per lavoro e impresa «l’Italia non è un Paese per giovani»

Che siano intraprendenti o meno i giovani in Italia non hanno prospettive. Lo ha reso noto oggi Confcommercio, attraverso un’analisi comparativa con altri Paesi, evidenziando come tra il 2000 e il 2019 i giovani occupati (15-34 anni) siano diminuiti di 2 milioni e mezzo e, nello stesso periodo, sia aumentata la quota di giovani che non lavorano e non cercano un’occupazione (dal 40% al 50%). Non solo: tra il 2004-2019 si sono ridotti di oltre un quarto i giovani lavoratori dipendenti (-26,6%) e più che dimezzati gli indipendenti (-51,4%), allo stesso tempo sono calati di 156mila unità le imprese giovanili e sono aumentati di 345mila i giovani espatriati negli ultimi 10 anni. Non è una novità, ma alla luce degli effetti devastanti della pandemia sull’economia italiana è un segnale molto negativo, che va contro la necessità di ripresa e di rilancio che ha l’Italia: per Confcommercio, l’Italia «non è un Paese per giovani» nel senso che le nuove generazioni sono sempre più marginalizzate e con sempre maggiori difficoltà occupazionali.

Negli ultimi vent’anni in Germania i giovani occupati sono diminuiti dieci volte di meno (-235mila) contro i 2,5 mln in Italia. I Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) nel nostro Paese fanno segnare un “record” europeo arrivando, prima della pandemia, a 2 milioni, pari al 22% dell’intera popolazione di quella fascia d’età, mentre, ad esempio, in Spagna sono il 15% e in Germania il 7,6%. Inoltre, in Italia i giovani nella fascia di età 15-34 anni che potrebbero lavorare, ma non lo fanno, né cercano attivamente un’occupazione, sono stati, nel 2000, il 40% di quella classe di età; nel 2019 erano a quasi il 50%.

«È evidente – afferma l’associazione – che la questione demografica e quella giovanile rischiano di indebolire ulteriormente il Paese, anche considerando che nel solo 2019, in Italia, circa 245mila ricerche di lavoro da parte delle imprese sono rimaste senza esito per mancanza di profili professionali adeguati». Per l’associazione «per rilanciare l’imprenditoria giovanile e, in generale, l’occupazione delle giovani generazioni occorrono meno tasse e burocrazia e politiche più orientate a ridurre i gap di contesto: microcriminalità, logistica, formazione del capitale umano».