di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Oggi su “Il Sole 24 Ore”, il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha analizzato la situazione dell’industria e mondo del lavoro italiano in modo approfondito, cercando di far comprendere le ripercussioni significative sulle nostre attività produttive non solo della crisi Covid, ma anche della strada scelta per impostare la ripresa dell’Europa e quindi dell’Italia, che ora si è concretizzata col Recovery Plan. Un percorso carico di opportunità, ma anche di rischi da non sottovalutare, come ha giustamente sottolineato il ministro. Chiare le sue parole: il nostro, ha detto in sintesi, è un «Paese ad alta vocazione industriale e con caratteristiche manifatturiere praticamente uniche» e non possiamo permetterci passi falsi, come accaduto con la plastica monouso. Dovremo, quindi, evitare che le misure su digitalizzazione e decarbonizzazione provochino un duro contraccolpo ai danni delle nostre aziende e dei nostri lavoratori. Parole importanti. Servirà «Un’analisi di impatto, prima di fare scelte penalizzanti». A riprova della situazione delicata nella quale si trova l’Italia, i dati Istat presentati ieri alla Camera: i 6,8 milioni di lavoratori coinvolti nella Cig nel 2020 e i 753 mila posti di lavoro persi da inizio pandemia sono la fotografia del drammatico impatto sociale della crisi sanitaria. Una crisi che si è sommata a una situazione che, già prima del Covid, non era certo rassicurante. La questione è non solo economica, ma anche politica: non possiamo immaginare per l’Italia un futuro di deindustrializzazione e terziarizzazione, lasciando ad altri, in Europa e nel mondo, il ruolo di produttori nell’industria manifatturiera. Dobbiamo, invece, procedere a una modernizzazione, ma in modo da rafforzare il nostro sistema produttivo, piuttosto che indebolirlo. Non si tratta certo di un percorso semplice, ma non c’è altra soluzione valida, per questo la nuova task force del Mise sembra rappresentare un segnale positivo, con l’obiettivo di favorire processi di riconversione produttiva, nel contesto generale di un sostegno concreto, tramite i fondi del Recovery Plan, in favore di politiche industriali e occupazionali a medio e lungo termine. Scegliendo, con un’Italia capace di farsi ascoltare in sede Ue, un processo di modernizzazione che non vada a penalizzare le nostre aziende. Da abbinare, lo diciamo sempre, a investimenti in infrastrutture materiali e immateriali e in una necessaria opera di semplificazione di burocrazia, giustizia e fisco. Con accanto quella riforma degli ammortizzatori sociali che, in questa fase così delicata, deve essere basata parallelamente su sostegni, formazione e politiche attive. Insomma, un futuro tutto da immaginare e costruire, sulla base di quelle che fra l’altro erano le esigenze del sistema Italia da prima della pandemia, rese ora ancor più improrogabili.