di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Fra le azioni da mettere in campo, prioritaria è la questione pensioni: a breve scadrà quota 100 e già da ottobre, con la prossima Legge di Bilancio, bisognerà mettere mano al sistema previdenziale per gestire la fine della misura straordinaria varata dall’allora governo “gialloverde”. A suo tempo l’Ugl era stata favorevole alla misura, perché con quota 100 si era garantita un’impostazione più flessibile rispetto alla precedente, consentendo a molti pensionandi, che possedevano i requisiti richiesti in termini di età e contributi versati, di uscire volontariamente in anticipo dal mondo del lavoro, nel caso ciò fosse congeniale alle proprie esigenze personali ed economiche. Permettendo, di riflesso, a molte aziende di rinnovare il proprio organico in modo socialmente responsabile e di assumere più giovani, innescando quindi anche quel turn-over generazionale nelle occupazioni più strutturate e meglio retribuite che manca al nostro Paese. Per l’Ugl è fondamentale che nell’impostare il sistema previdenziale del post quota 100 non si perdano questi punti di riferimento: flessibilità e inclusione. Per garantire una maggiore e migliore inclusione dei giovani nel mondo del lavoro, il dibattito sulle pensioni e l’impostazione finale della riforma previdenziale dovranno essere coordinati alle decisioni che verranno prese in merito a politiche attive e ammortizzatori sociali. Si tratta infatti di argomenti strettamente correlati. E poi dovrà esserci una maggiore attenzione nei confronti dei lavori usuranti o particolarmente gravosi, per i quali serviranno ulteriori garanzie. Al momento le proposte in campo sono diverse, da quota 41, con appunto 41 anni di contributi è un’età anagrafica di 62 o 63 anni, fino alle proposte di chi, invece, privilegiando la logica dell’austerity, vorrebbe scorporare la quota di pensione contributiva, con importo minimo da 1,2 volte l’assegno sociale, da ottenere con 63 anni e 20 di versamenti, a quella retributiva, che sarebbe godibile dai 67 anni. Dal nostro punto di vista non devono esserci compromessi al ribasso, specie in questa fase così difficile della vita del Paese, nella quale occorre dare un messaggio positivo a milioni di concittadini, che, dopo una vita di lavoro, meritano un trattamento adeguato. Bisogna evitare in ogni caso di tornare al “sistema Fornero”. Un sistema che già di era dimostrato inadeguato perché capace di esacerbare quel divario sociale e generazionale già profondo nel Paese, puntando su un rigore dei conti a brevissimo termine, ma in realtà innescando una spirale di sottoccupazione giovanile e depauperamento, a lungo termine nociva anche dal punto di vista dell’economia nazionale. Ora, specie dopo la crisi Covid, non possiamo permetterci di tornare indietro verso formule sbagliate e controproducenti, ma dobbiamo puntare su tutele e flessibilità.