di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’Italia, in questa fase tanto difficile, non ha certo bisogno di ulteriori divisioni, come quelle che si stanno creando nel Paese fra favorevoli e contrari al Green Pass. Questi ultimi da non confondersi, poi, con i “no-vax”, categoria decisamente minoritaria, fortunatamente. Sono ancora tante, invece, le persone incerte e intimorite da informazioni contraddittorie e da un dibattito pubblico sull’argomento vaccini molte volte, come spesso accade sui temi più disparati, incapace di approfondire e chiarire. Un dibattito più facilmente orientato a ridurre ogni questione in slogan, più per partito preso che per ragioni sostanziali, in questo modo ottenendo l’effetto di radicalizzare le posizioni, piuttosto che trovare una sintesi. Cosa fare? L’impressione è che il governo, con queste prime regole, abbia voluto dare imposizioni parziali proprio per evitare disagi, comunque ottenendo l’effetto voluto, ossia una corsa alle prenotazioni degli indecisi, ma escludendo molti settori dall’obbligo di foglio verde. I trasporti e la scuola i nodi più evidenti. Ci sarebbero, poi, molti altri luoghi pubblici o comunque frequentati da assembramenti di persone da considerare. Anche in questi contesti si rischia il contagio, ma al momento il certificato serve solo per palestre, ristoranti, cinema e simili. Resta il dubbio che si siano evitati i settori più complessi da gestire, mettendo oneri, controlli, questione privacy solo sotto la responsabilità delle attività interessate. Il risultato di una certificazione, per così dire, “morbida” è quello, da una parte, di rendere le nuove norme più graduali e quindi più facili da accettare e rispettare dall’altra, però, si sono anche create delle ambiguità. L’aver imposto l’obbligo di Green Pass solo per accedere ad alcune attività ha creato un senso di disparità di trattamento ed ha, inoltre, indebolito la misura, forse non facendo comprendere in modo abbastanza chiaro alla popolazione la gravità della situazione pandemica e la necessità di procedere col vaccino. Ci sono poi un altro paio di questioni non da poco. Come noto il Green Pass prevede il tampone effettuato massimo da 48 ore come alternativa al vaccino. Immaginiamo per chi non abbia la possibilità, per motivi di salute ad esempio, di vaccinarsi o per chi stia per procedere all’immunizzazione, nelle aree del Paese in cui i tempi d’attesa per l’appuntamento vaccinale sono più lunghi, ma anche per chi non voglia aderire alla campagna, che rimane, al momento, volontaria. Però il necessario corollario di questa disposizione è rendere gratuiti i tamponi, così come sono gratuiti i vaccini, almeno per chi abbia comprovati motivi che attestino l’impossibilità a immunizzarsi. Poi il problema più significativo: l’estensione della campagna di vaccinazione anche ai minorenni nella fascia d’età 12-18 anni. Una questione anche etica, per genitori e tutori dei ragazzi che, di fatto, sono chiamati a prendere una decisione per i loro cari, dato che stiamo comunque parlando di sieri non obbligatori e poco sperimentati. Se l’intenzione è quella di introdurre, progressivamente, un obbligo, che lo si faccia, come si è fatto per altri vaccini e come accade per le dieci vaccinazioni attualmente obbligatorie in Italia per i bambini, valutando se escludere i minori. Servirebbe a dissipare dubbi, semplificare la gestione, attribuire la responsabilità, anche dei controlli, allo Stato. Servirebbe maggiore chiarezza, ma anche maggiore coraggio.