di Francesco Paolo Capone Segretario Generale UGL

Mai come in questo momento è opportuno provare a distinguere ciò che è contingente, vale a dire legato al periodo specifico che stiamo vivendo, da ciò che, viceversa, è più strutturale e destinato a presentarsi anche nei prossimi anni. È un esercizio che è utile fare in tanti campi, che però diventa decisivo quando si prova ad affrontare il grande tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Nei giorni scorsi, l’Inail ha presentato il proprio Rapporto annuale, una fotografia dello stato dell’arte che ci accompagna da tanto tempo e che serve al Parlamento, al Governo e, più in generale, agli operatori e ai rappresentanti di sindacati e associazioni datoriali per definire le priorità e per individuare gli elementi di forte criticità. Il Rapporto di quest’anno, relativo al 2020, risente inevitabilmente delle conseguenze dirette dalla pandemia. La riduzione delle denunce di infortunio sul lavoro sembra essere una diretta conseguenza dei lunghi periodi di stop alla produzione e alle attività commerciale e del massiccio utilizzo dello smart working, sia nel settore pubblico che in quello privato, aspetti che, però, non ritornano quando ci si sposta sulla casella relativa agli incidenti mortali che sono in sensibile aumento. Anche ammettendo l’impatto del Covid-19, che la drammatica scia di decessi da contagio nei luoghi di lavoro, i numeri non convincono: il timore è che molti infortuni di poco conto continuino a sfuggire alle statistiche per una doppia mancanza, quella delle denunce e l’altra dei controlli. Sul versante delle malattie professionali, comincia ad affacciarsi il fenomeno del long Covid-19: circa il 10% dei contagiati continua a mostrare sintomi pesanti pure a distanza di molto tempo.