di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Ha giustamente provocato un grande clamore l’intervento “a gamba tesa” di Confindustria sulla questione vaccini. L’organizzazione di Viale dell’Astronomia ha fatto irruzione nel dibattito, già piuttosto teso, sul Green Pass affermando, in una mail che doveva rimanere riservata e invece poi resa pubblica, che si potrebbe richiedere ai dipendenti delle grandi aziende private di presentare il proprio lasciapassare di avvenuta immunizzazione anti Covid, con, in caso contrario, demansionamento, sospensione e anche blocco dello stipendio. Così Francesca Mariotti, nella lettera inviata ai dirigenti dell’associazione datoriale: “L’esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro. In diretta conseguenza di ciò, il datore, ove possibile, potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda”. Una proposta shock, del tutto fuori luogo, per molte ragioni. Sul tema, caldo, del Green Pass, c’è bisogno di prendere decisioni condivise per rassicurare gli italiani, già impauriti dal virus e dalle nuove varianti. Una popolazione divisa fra il timore di contrarre il Covid e quello, di alcuni, nei confronti di preparati scoperti nel giro di pochi mesi, e che, comunque, sta aderendo convintamente alla campagna vaccinale. Una popolazione già esasperata da mesi di lockdown, chiusure, distanziamento sociale e crisi economica. Che andrebbe resa partecipe e non, invece, minacciata di ritorsioni. Tranquillizzando, dati alla mano, su efficacia e sicurezza dei preparati; non dimentichiamo i vari dietrofront su Astrazeneca, che certo non hanno giovato alla causa. Servono confronto e collaborazione. Al momento il Governo non ha ritenuto opportuno prendere la decisione di rendere il vaccino anti-Covid obbligatorio, se non per gli operatori sanitari, particolarmente a rischio di contagiarsi e contagiare, nonostante l’idea di imporre il pass verde per accedere a diversi luoghi pubblici. L’obbligatorietà o la raccomandazione comporta conseguenze importanti anche in termini legali di risarcimento in caso dei – rarissimi, ma non impossibili – danni da vaccino. In mancanza di un obbligo imposto dallo Stato, ciò che occorre, parlando di vaccini e lavoro, è un confronto serio tra le parti, come al tempo del Protocollo con le norme anti-Covid stabilite quando i sieri non erano disponibili, che aveva definito come agire con le risorse allora a disposizione, tamponi, Dpi, distanziamento. Un nuovo Protocollo che definisca con serietà diritti e doveri di entrambe le parti e non solo obblighi in capo alla parte debole, i dipendenti, agitando lo spauracchio del licenziamento. Riflettere sul Green Pass per i luoghi di lavoro significa predisporre un impianto normativo, legislativo o contrattuale, complessivo a sostegno di una decisione che sarebbe di portata epocale, incidendo su ambiti non da poco, tra libertà di cura e diritto alla privacy. In assenza di ciò, le esternazioni di Confindustria restano decisamente improponibili, da rispedire, seccamente, al mittente.