di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
Oggi, 19 luglio, ricorre la data dell’assassinio del giudice Paolo Borsellino. Un eroe, caduto lottando contro la mafia. Un eroe a noi particolarmente caro, naturalmente per aver combattuto in prima linea la criminalità organizzata che affossa il nostro Paese, ma anche per il suo passato militante nel Fronte della Gioventù missino, prima di scegliere la strada dell’impegno nella magistratura. Esempio fra i migliori nella destra italiana. Ucciso in un agguato, assieme agli uomini e alla donna della sua scorta, 29 anni fa. Per aver cercato, con il collega e amico Falcone, di squarciare il velo dell’omertà e comprendere fino in fondo le dinamiche, comprese quelle più oscure e segrete dei rapporti con le istituzioni deviate, delle attività criminali della mafia. Il prossimo anno sarà la volta del trentennale, ma ancora la piena verità sulla sua morte è lontana: se la giustizia ha condannato diverse persone per la strage di Via D’Amelio, una ricostruzione completa di fatti e responsabilità non è stata ottenuta. I depistaggi, la scomparsa dell’agenda rossa, la mancata deposizione dello stesso giudice Borsellino sulla strage di Capaci, che poco tempo prima aveva provocato la morte di Giovanni Falcone. Chiare le parole della Presidente del Senato Casellati a questo proposito: «A quasi 30 anni di distanza è inaccettabile che non si sia arrivati a una reale ricostruzione dei fatti. Solo la piena verità può consentire alla giustizia di liberare l’Italia da questo peso doloroso e insostenibile». Un peso che imbriglia il Paese, che impedisce di fare consapevolmente i conti con la propria storia e poi, mantenendo l’omaggio e il ricordo, andare avanti. L’Italia non è nuova a situazioni come questa. Sono tanti gli eventi drammatici che hanno segnato la vita della Repubblica e che hanno provocato tragedie e lutti a non essere stati chiariti. Anzi, forse riuscire ad individuare la completa verità e assicurare alla giustizia colpevoli e mandanti è, nelle vicende più gravi avvenute in passato nel Paese, più un’eccezione che, come dovrebbe invece essere, la regola. Gli esempi potrebbero essere tanti. Alcuni, poi, in questo contesto di incertezza, provano a tirare la coperta della verità – da accertare – dalla propria parte, confondendo ulteriormente le acque, chi per convinzione, chi per convenienza. Si pensi alle ricostruzioni di questi giorni sui fatti di Genova, alle teorie sugli anni di piombo o alle interpretazioni dell’epoca di mani pulite. In assenza di responsabilità conclamate, accertate e chiare, il clima si fa torbido e a farne le spese è non solo la giustizia, ma anche, di riflesso, la coesione sociale, che dovrebbe tenerci uniti attorno a valori comuni e condivisi. Tempo di commemorazioni. Un tempo triste, non solo per le tragedie che si ricordano, ma anche per una piena verità che tarda ad arrivare.