di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Le proteste e la repressione in atto a Cuba sono ormai sotto gli occhi di tutti, chiarendo quale sia la realtà dell’isola, non certo un paradiso per chi ci vive. Una situazione esplosiva, fra povertà e pandemia. Lo scorso 11 luglio sono iniziate le proteste, con migliaia di persone in piazza, secondo gli osservatori le manifestazioni di massa contro il governo più imponenti degli ultimi trent’anni. A Cuba mancano cibo e medicine, l’economia continua a sprofondare e le persone hanno espresso il proprio dissenso contro il regime, ora guidato da Miguel Diaz-Canel, che ha reagito con durezza inviando polizia e forze armate “rivoluzionarie” a contro manifestare, disperdere, arrestare. Una vittima accertata fra i manifestanti anticastristi, altre, una decina, di cui parlano, ufficiosamente, i social. Migliaia gli arresti, fra questi, decine di giornalisti. Numeri incerti, quelli di vittime e arrestati, data l’inattendibilità delle informazioni fatte trapelare dal governo. Questa, in sintesi, la situazione. Le prime concessioni, l’abolizione dei dazi sui prodotti importati per tamponare carestia e dissenso. Tutto sommato niente di diverso da quello che accade in molte parti del mondo in simili contesti: il regime, ogni regime, difende se stesso, con le buone e, se occorre, con le cattive. Ma su Cuba c’è – come sempre a sinistra – un cortocircuito ideologico più che evidente. Quell’isola per molti resta un miraggio, quindi solo un’illusione. Per i nostalgici del comunismo, che la guardano da lontano, trovandola più apprezzabile rispetto agli altri ultimi Stati rimasti ancorati all’ideologia di Marx, il colosso cinese inquinante e colonizzatore, la dittatura livida e impenetrabile della Corea del Nord, per esempio. Per i turisti in cerca di situazioni insolite e immagini pittoresche, da ricordare, poi, però, nella comodità delle proprie case occidentali. Il cortocircuito ideologico di chi manifesta per Zaki o ricorda la Diaz parlando di diritti civili e poi tace su Cuba. Non mettono paura tutte le divise, per dirla alla Murgia, ma solo quelle dei colori che non piacciono. E poi c’è la storia dell’embargo, ufficializzato da Kennedy e riconfermato oggi da Biden, che all’Assemblea generale dell’Onu ha detto no, solo poche settimane fa, alla fine delle restrizioni, mentre tutto il resto del mondo, con pochissime eccezioni, votava a favore. Le ingerenze americane anche quando al potere ci sono i dem, un altro, non irrilevante, cortocircuito, che dimostra come sia impossibile continuare a voler confondere i progressisti statunitensi col ricordo del socialismo reale. Due mondi, se non opposti, quantomeno profondamente diversi, con buona pace dei nostri dem. Sarà per questo che, di quanto sta accadendo a Cuba, nel mainstream giornalistico si continua a parlare poco: alcune repressioni, evidentemente, sono meno fotogeniche di altre.