di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Dunque, il Recovery Plan italiano è stato definitivamente approvato e al nostro Paese andranno 191,5 miliardi di euro, circa la metà dell’intero ammontare delle risorse messe in campo dall’Unione per affrontare la crisi economica e sociale nata dalla pandemia di Covid-19. L’Ecofin, il gruppo europeo che riunisce i ministri dell’Economia e delle Finanze dei Paesi membri, ha infatti approvato il nostro assieme ad altri 11 piani nazionali, tutti giudicati conformi alle richieste. Uno fra i compiti che il presidente Mattarella aveva affidato al premier Draghi e al governo di unità nazionale da lui guidato è stato portato, quindi, a termine. E a breve, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, inizieranno ad arrivare i primi fondi, il prefinanziamento corrispondente al 13% del totale, ovvero 25 miliardi di euro. Bene, benissimo. Abbiamo portato a casa un grande risultato, ma – per rimanere in termini calcistici sull’onda di Euro 2020 – è adesso che inizia la vera partita. Se era fondamentale l’approvazione del piano per poter accedere alle risorse, altrettanto essenziale sarà usare bene i fondi in arrivo. Quello predisposto dal Governo è un buon piano, che noi dell’Ugl giudichiamo nel complesso positivamente. Ora bisognerà trasformarlo in realtà concreta di modernizzazione e sviluppo. Della somma totale, 27 miliardi, tra l’altro non la quota maggiore fra quelle attribuite ai vari settori di cui si occupa il Pnrr, andranno finalizzati verso lo sviluppo delle politiche attive del lavoro. Si tratta, comunque, di una cifra importante che andrebbe usata per rimodulare un sistema che al momento non funziona – nonostante le dichiarazioni in senso contrario del presidente Tridico – non aiutando realmente le persone in cerca di occupazione a formarsi, ad acquisire le capacità richieste attualmente dal mondo del lavoro, a trovare un impiego, spesso, invece, trasformandosi in un mero strumento assistenzialista. Servirebbe ben altro, uniformando e mettendo in rete i diversi sistemi regionali, che al momento, se non in rari casi, non comunicano fra loro impedendo quindi, alle persone in cerca di lavoro e alle aziende che hanno bisogno di dipendenti con determinate qualifiche, di guardare oltre i confini regionali. Sono tante le cose da fare e per colmare il gap italiano sul tema delle politiche attive, capire dove siano le criticità e trovare il modo per affrontarle e risolvere è decisivo il coinvolgimento di chi conosce e rappresenta il mondo del lavoro. Per questo sarebbe auspicabile che il Governo condividesse la fase attuativa del piano – ed in particolare della parte riferita in modo particolare al lavoro – con le forze sociali del Paese, possibilmente mandando avanti nello stesso tempo anche l’annunciata riforma degli ammortizzatori sociali, da realizzare quanto prima, al fine di garantire una maggiore tutela dei lavoratori.