Più che il lavoro che manca, ciò che latita è il collegamento fra le competenze del lavoratore e le necessità del datore. Larga parte dell’attenzione dell’opinione pubblica si è catalizzata sulla questione dello sblocco dei licenziamenti collettivi e individuali; si tratta di una questione reale, ma che assume ancora maggiore peso alla luce della disoccupazione di lunga durata, male endemico del nostro Paese

Nelle ultime settimane, si è continuato molto a parlare di emergenza e decisamente poco di prospettive. Un atteggiamento anche comprensibile, vista la scadenza del 1° luglio, da quando, in teoria, sarebbe scattata la possibilità di licenziare. Poco è arrivato il decreto-legge 99 ha circoscritto questa ipotesi, rafforzando la fruizione degli ammortizzatori sociali per alcuni settori specifici, come il tessile, e nel complesso. La forte preoccupazione deriva, a ben vedere, non tanto dal mancato sostegno al reddito (è vero che la Naspi non è lo stipendio, ma è pur vero che rappresenta comunque un minimo di supporto), quanto, piuttosto, dal terrore che, perso il lavoro, poi non se ne troverà un altro. È il fenomeno della disoccupazione di lunga durata che finisce per spingere la persona nella inattività o nel sommerso, un fenomeno che investe il nostro Paese da almeno vent’anni e contro il quale finiscono per sbattere centinaia di migliaia di nostri connazionali. La disoccupazione di lunga durata, a sua volta, è strettamente connessa alla questione della pessima corrispondenza che si realizza nel mercato del lavoro (termine sicuramente brutto, ma diventato ormai di uso comune) fra le competenze della persona e le necessità del datore di lavoro, il quale, magari, è alla ricerca di un tornitore che nessuna scuola o ente ha mai pensato di formare. La cosa grave è che negli anni questa distanza si è addirittura allargata, tanto che si potrebbe addirittura provare a rileggere in una chiave diversa le stesse “lenzuolate” dell’allora ministro Pierluigi Bersani. Per un errore di programmazione, ci siamo ritrovati ad avere tanti professionisti in settori già abbondantemente saturi.