Tragedia del Mottarone, tra diritto all’informazione e amplificazione del dolore. Dei due nuovi video sulla folle corsa della cabina n° 3, depositati insieme agli atti dell’indagine, è vietata la pubblicazione. Per il Pm «si tratta di immagini dal fortissimo impatto emotivo»

Torna periodicamente il dibattito su quale sia il limite del diritto di cronaca, senza mai arrivare ad un punto. È successo di nuovo, dopo la diffusione di nuove immagini dello schianto della funivia del Mottarone: due video riprendono la cabina mentre si avvicina alla stazione di arrivo, si impenna e scivola all’indietro fino al salto nel vuoto. La folle corsa della cabina n° 3 e gli ultimi istanti di vita delle 14 vittime è stata documentata dall’interno della stazione; l’unico sopravvissuto, il piccolo Eitan, sarebbe riconoscibile insieme ai suoi genitori ormai scomparsi. Inevitabile che la bufera si scatenasse, non solo sui social, ma anche in seguito delle parole della pm Olimpia Bossi, secondo la quale la pubblicazione è stata di «assoluta inopportunità». Bufera che ha coinvolto la Rai, poiché che le immagini esclusive sono state diffuse ieri dal Tg3, con conseguente richiamo del presidente Foa a «valutare attentamente tutte le implicazioni etiche». Il giornalista e conduttore radiofonico, Gianluca Nicoletti, su La Stampa ha spiegato le ragioni per le quali secondo lui era giusto mostrare il video, perché «testimonia in maniera inequivocabile quello che per settimane è stato ricostruito attraverso infografiche. Non si può certo immaginare che un tassello di realtà così fondamentale potesse essere ignorato». Non la vede allo stesso modo la Procura di Verbania, per la quale, secondo quanto pubblicato dal quotidiano Il Giorno, «portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto, non significa per ciò stesso autorizzare ed avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi di informazione», ha spiegato la stessa Pm Olimpia Bossi, precisando che le immagini erano depositate insieme agli atti dell’indagine e che la loro pubblicazione è vietata. Dunque, nessuno stava ignorando quei documenti video. Una domanda da farsi, ormai retorica, è come abbiano fatto quei video a “uscire” dagli atti processuali. Ma anche una eventuale e voluta fuga di notizie, non giustifica né assolve del tutto il mondo dell’informazione, perché, secondo il Pm, «si tratta di immagini dal fortissimo impatto emotivo, oltretutto mai portate a conoscenza neppure dei famigliari delle vittime». Oggi il Garante per la protezione dei dati personali ha invitato i media e gli utenti dei social network ad astenersi dall’ulteriore diffusione delle immagini e da forme di spettacolarizzazione dell’evento, che possono solo acuire il dolore dei familiari delle vittime e di quanti erano loro legati. I video, è scritto in una nota, poco aggiungono, per quanto riguarda l’informazione dell’opinione pubblica, alla ricostruzione della dinamica del terribile incidente, già ampiamente trattata dai media. Certamente non è attraverso la diffusione di un video sulla dinamica dell’incidente che si può sperare di tutelare o garantire la sicurezza e la salute in tutti i luoghi di lavoro. E non solo.