di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La necessità di una riforma del sistema di ammortizzatori sociali, anche in previsione della fine del blocco dei licenziamenti, non è legata esclusivamente alla crisi Covid. Naturalmente la pandemia ha reso particolarmente evidente ed urgente la questione, che però era nell’aria da molto, moltissimo tempo. Una questione, che deriva, infatti, assieme ad altre relative al mondo del lavoro, dal non aver ancora fatto pienamente i conti col passaggio da un’economia di tipo “fordista” come quella del secolo scorso, nella quale allo stesso tempo il ruolo dello Stato nell’economia era molto significativo, a quella nuova, nata più o meno negli anni Novanta, dominata da una globalizzazione che in parte era nell’ordine delle cose, ma che, sicuramente, nel nostro Paese è stata mal gestita. Le delocalizzazioni di molte grandi aziende, la digitalizzazione, il ridimensionamento del ruolo pubblico, le esternalizzazioni, il lavoro precario. La fine di un’era nella quale era consuetudine mantenere lo stesso posto di lavoro dall’assunzione alla pensione. A farne le spese le generazioni più giovani, dai quarant’anni in giù. Certo non tutti, ma moltissimi – i meno preparati, o forse i meno fortunati e introdotti – costretti a una flessibilità senza garanzie. Altri, invece, obbligati a “inventarsi” un lavoro che altrimenti non c’era, con la conseguenza di una crescita numerica del lavoro autonomo, in molti casi di sussistenza, senza dipendenti, oppure di facciata per svolgere mansioni di fatto subordinate. Così è stato in questi ultimi anni, con il solo paracadute delle famiglie a garantire alle nuove generazioni quella stabilità economico-sociale che non veniva offerta loro né dal mondo del lavoro né dal welfare di Stato. La crisi Covid ha, tutto sommato, fatto venire al pettine nodi annosi. I precari estromessi per primi dal mondo del lavoro, come sempre i meno garantiti. Gli autonomi di sussistenza che in molti casi non hanno retto alle chiusure; l’Istat ha certificato un crollo in questo settore mai visto dall’inizio delle serie storiche, sotto quota 5 milioni. La crisi anche di molte grandi aziende, la tentazione di ridurre il personale, magari per andare altrove, finora tenuta a freno solo dal blocco. È arrivato il momento, dato che dopo la pandemia non è rimasto più tempo da perdere, di affrontare tutte le problematiche, tanto note quanto irrisolte, che hanno contribuito a creare questa situazione di stagnazione economica e sociale, con le conseguenze del caso, compresa quella demografica. Gli ammortizzatori sociali, in primis, facendo in modo che finalmente il sistema consenta a tutti di affrontare un mondo del lavoro meno stabile con la dovuta serenità. Ma anche il cuneo fiscale, rimasto altissimo, che scoraggia ancor di più le aziende ad assumere. Trasformare un mercato del lavoro che da un lato è rimasto troppo rigido, dall’altro privo di strumenti universali di tutela nel passaggio da un’occupazione all’altra e che ha generato una divisione generazionale e sociale fra garantiti e non. Per non parlare poi del resto, ossia delle solite criticità italiane, dai costi dell’energia alle infrastrutture, dalla burocrazia alla giustizia, ad affossare ancora ogni progetto di crescita e sviluppo. Che almeno la crisi Covid, con tutti i drammi che ha provocato, sia l’occasione per affrontare e risolvere, finalmente, situazioni che non possono più essere ignorate.