di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. O almeno così sembrerebbe a giudicare dalle conclusioni del G7. Non tanto le osservazioni verso Mosca e Vladimir Putin, da anni al centro delle polemiche, con tanto di sanzioni, quanto la presa di posizione finalmente netta nei confronti della Cina, dominus degli ultimi anni di globalizzazione, controparte sempre più forte di un’Europa e anche di un’America che sembravano in declino. Le violazioni costanti dei diritti umani, i campi di rieducazione, i lavori forzati, le sterilizzazioni di massa, la repressione delle minoranze etniche e delle opposizioni politiche, dagli Uiguri al Tibet fino ai manifestanti di Hong Kong, le questioni ambientali, la concorrenza selvaggia contro l’economia e il lavoro occidentale, la Nuova Via della Seta, l’influenza sempre più invasiva nei Paesi in via di sviluppo, e ora anche l’occhio del ciclone Covid. La potenza asiatica finora, se si esclude la fase trumpiana, aveva ricevuto, nonostante tutto ciò, un trattamento di favore, un approccio accondiscendente, considerando da un lato la situazione interna al Paese e dall’altro il ruolo internazionale, politico ed economico, della Cina. Poi, l’arrivo del Covid-19. Nato proprio in Cina, a Wuhan, probabilmente fuoriuscito dall’ormai famigerato laboratorio virologico locale. Comprendere l’origine della pandemia e far luce su quanto accaduto, senza fare sconti al gigante asiatico, dopo un anno e mezzo di crisi sanitaria globale, quasi quattro milioni di morti nel mondo, economie al collasso, società sconvolte dal virus, corsa ai vaccini con tutte le implicazioni conseguenti. Le responsabilità di Pechino sono palesi, dovrebbe essere ora compito della comunità internazionale accertarle in modo chiaro per poterne considerare la gravità. Da quanto emerso finora, i punti oscuri sono molti, evidenti nonostante le reticenze cinesi e la debolezza dell’Oms. Ancora resta da comprendere quando si siano verificati i primi casi, molto prima dell’allarme dato al resto del mondo, se il virus sia effettivamente sfuggito dal laboratorio, come adesso sembrerebbe quasi unanimemente condiviso; ma questi sono, forse, i sospetti meno gravi nei confronti del governo cinese. In realtà molti, già mesi fa, subito dopo lo scoppio della pandemia, avevano denunciato con forza il ruolo opaco di Pechino. Messi a tacere, additati come complottisti e visionari, da un mainstream inopinatamente filocinese. Per fare solo un esempio, era proibito persino chiamare il virus “cinese” per non sottolinearne la provenienza, mentre lo stesso trattamento non è mai stato riservato ai Paesi d’origine delle varianti. Ora, che a sollevare finalmente la questione è anche il nuovo presidente – democratico – degli Usa, Biden, con l’assenso degli altri leader, fra i quali il nostro Draghi, il vento nel mondo occidentale sembrerebbe cambiato.