di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il caso di Camilla, la diciottenne ligure deceduta a seguito di complicanze post-vaccino Astrazeneca, sta doverosamente generando un profondo ripensamento in merito al piano vaccinale in atto e non solo. Sappiamo che, come tutti i farmaci, anche i vaccini possono generare effetti collaterali, più o meno gravi, in un’esigua percentuale di persone. Nella speranza che i progressi della scienza rendano i casi di reazioni avverse sempre più rari e lievi, siamo consapevoli del fatto che nessuna medicina è esente da rischi. Il nocciolo della questione è rappresentato dal rapporto fra i suddetti rischi e i benefici determinati dal farmaco, in questo caso dal vaccino, nel curare o proteggere dalle malattie. Il fatto che il virus sia meno pericoloso, almeno allo stato attuale delle cose, per i giovani, rende questa morte molto difficile da accettare, considerando il fatto che, almeno a prima vista, nel caso in questione sul piatto della bilancia rischi e benefici erano sbilanciati verso i primi. Troppo facile attribuire le responsabilità al fato e alla statistica, oppure alle Regioni, un tempo considerate nicchie di buon governo e ora – curiosamente da quando sono a stragrande maggioranza di Centrodestra – assurte a parafulmine per ogni criticità del sistema, oppure ancora al generale Figliuolo, per aver eseguito bene e in fretta decisioni prese da altri. Esistono, nel caso specifico, organismi, ai quali spettano molti onori e quindi altrettanti oneri, che in questi mesi di pandemia hanno avuto il compito di decidere il da farsi. In particolare uno, il “Comitato tecnico scientifico”, che, dall’alto delle proprie competenze, ha stabilito cosa si poteva fare e cosa no, ponendo in uno stato di sudditanza persino i vertici della politica, nazionale e locale. Quando chiudere e quando aprire, quanto e come. Procedure, distanziamenti, dispositivi di protezione, protocolli sanitari e ora il piano vaccinale. Gli altri a realizzare, al massimo con qualche limatura, le decisioni inappellabili del Cts. Un comitato, però, che nelle proprie decisioni è stato spesso ondivago e poco chiaro. Su mascherine, lockdown, coprifuoco. Ed ora sui vaccini. Dopo il caso drammatico della giovane di Sestri Levante, possiamo dire che, nonostante un atteggiamento fin troppo accondiscendente verso questo organismo, ormai la misura comincia ad essere colma. Il Cts ha prima riservato il vaccino “incriminato” solo agli under 55 e agli occupati nelle categorie professionali più a rischio contagio – operatori sanitari, insegnanti, forze dell’ordine – poi lo ha esteso agli under 65, poi ancora lo ha consigliato a tutti, in seguito lo ha “raccomandato” solo agli over 60 non rilevando, però, «motivi ostativi» ad organizzare, anche per i più giovani, vaccinazioni di massa col siero di Oxford. Ora, è il caso o meno di far vaccinare, con AZ e non solo, anche i più giovani? Che si stabilisca una linea chiara e circostanziata. Pare, fra l’altro, che Camilla soffrisse di una patologia autoimmune e forse con analisi preventive obbligatorie propedeutiche al vaccino la sua morte si sarebbe potuta evitare. Se, spesso e volentieri, specie in questi ultimi mesi, sentiamo dire, con un pizzico di snobismo, che, come comuni cittadini, dovremmo mettere da parte osservazioni e dubbi ed affidarci fideisticamente alle decisioni degli esperti, beh, forse avremmo bisogno di esperti un po’ più affidabili.