di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Un discorso ragionevole, quello di Kamala Harris, vicepresidente Usa, in occasione di una visita in Guatemala per discutere della questione migratoria. «Voglio essere chiara con le persone di questa regione che stanno pensando di intraprendere il pericoloso viaggio verso il confine tra Stati Uniti e Messico. Non venite, perché sarete rispediti indietro, ci sono strade per un’immigrazione legale e sono queste che vanno percorse». La Harris ha poi promesso di lavorare insieme ai Paesi Latinoamericani per creare in Sud America condizioni economico-sociali più favorevoli, che consentano alle persone di «soddisfare i bisogni primari stando in patria». Da un lato, quindi, difendere i confini del proprio Paese, controllare le frontiere, contrastare il sistema di sfruttamento dell’immigrazione clandestina e i trafficanti di esseri umani, dall’altro cooperare per lo sviluppo degli Stati più poveri, aiutando i bisognosi “a casa loro”. Un discorso tanto sensato quanto inaspettato, perché pronunciato non da un “pericoloso sovranista”, ma proprio da chi in campagna elettorale proponeva un deciso cambio di rotta rispetto alle politiche migratorie dell’ex presidente Trump. Un bagno di realtà fatto dai democratici americani – quasi tutti – dopo aver constatato che la politica all’insegna del declamato “accogliere tutti” da campagna elettorale progressista non sta producendo altri risultati che generare flussi ancor più consistenti ed ingestibili, scatenando una vera e propria crisi migratoria sul confine meridionale statunitense. Insomma, alla fine, venuti al pettine i nodi della sostenibilità e della sicurezza, non si è palesata altra strada per una gestione ordinata e legale del fenomeno migratorio che quella del rigore ai confini e della cooperazione allo sviluppo per risolvere a monte quello che è e resta un problema, ovvero l’arrivo una massa talmente consistente di persone non aventi diritto, che neanche la superpotenza d’oltreoceano è in grado di accogliere indiscriminatamente. Naturalmente non c’è stata nessuna ammissione di colpe, né un onore delle armi reso all’ex avversario, messo sulla graticola mediatica solo per aver portato avanti misure tanto sensate quanto inevitabili. Comunque, meglio il ravvedimento tardivo della Harris che l’approccio ancora ideologizzato ed irrealistico dei dem di casa nostra, che, criticando ogni richiesta di rigore, vorrebbero ulteriori aperture alle migrazioni, non considerando neanche il fatto che l’Italia non è la potenza americana, ma un Paese di dimensioni minori, costretto, nonostante sia ancora profondamente colpito dalla crisi economica pre e post Covid, a sobbarcarsi da solo il peso degli arrivi verso il continente europeo. Speriamo che l’esempio americano, talvolta seguito pedissequamente e anche a sproposito, venga preso in considerazione anche adesso dalla nostra politica, dato che in questo caso dimostra in modo palese la necessità trasversale di un approccio razionale a un problema finora usato solo come clava politica dalle sinistre, a danno tanto dei migranti quanto dei propri concittadini.