di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

La tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita a 14 delle 15 persone che si trovavano a bordo del mezzo e con l’unico sopravvissuto, un bambino, ancora in condizioni critiche, sta prendendo dei contorni più definiti quanto alle cause che avrebbero determinato l’incidente. Tre persone, il titolare dell’impresa che gestisce la funivia, il direttore e il capo servizio, sono state arrestate, infatti, con l’accusa non solo di omicidio colposo, ma anche di rimozione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro. Avrebbero manomesso l’impianto con uno stratagemma, rivelatosi poi fatale per i malcapitati turisti, al posto di risolvere con i necessari interventi strutturali un problema tecnico della funivia. Una «scelta consapevole dettata da ragioni economiche» secondo gli inquirenti, una riparazione alla meno peggio, un escamotage per evitare di fermare l’impianto e procedere ad una manutenzione rigorosa che sarebbe stata lunga e costosa. Forse non immaginando la concretezza del disastro che si profilava dietro l’angolo. Una decisione – se le accuse saranno confermate dalle indagini e dal giudizio della magistratura – scellerata, di una superficialità agghiacciante, con un esito omicida verso le povere vittime innocenti, dannosa anche nei confronti di tutto un settore, quello del turismo, che non meritava una simile pubblicità negativa dopo un anno e oltre di problemi legati alla pandemia. Cercando di analizzare i fatti, andando oltre il singolo drammatico evento, e volendo provare un’analisi complessiva della situazione si potrebbe dire che ancora, purtroppo, nel nostro Paese non c’è una coscienza sufficientemente diffusa e metabolizzata in merito all’importanza della sicurezza del lavoro e dei mezzi di produzione. La sicurezza delle strutture e il rispetto rigoroso delle normative non sono né un “lusso” che può essere rimosso dai costi né, tanto meno, un “vezzo” da sindacalisti. Sono precondizioni necessarie e irrinunciabili allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, a tutela dei clienti, come in questo caso, dei lavoratori, in tanti altri, e persino in alcune piccole imprese degli stessi titolari che lavorano nelle proprie aziende. Paghiamo lo scotto di un’assenza di cultura della sicurezza sul lavoro, quella cultura che farebbe comprendere che si tratta di un bene fondamentale per preservare la salute e la stessa vita e, a conti fatti, anche per garantire la duratura competitività delle imprese. Il “sacrificio” richiesto in investimenti in salute e sicurezza, infatti, oltre che doveroso in termini di legge, è ampiamente ripagato non solo a livello etico e morale – e comunque non sarebbe certo poco – ma anche dal punto di vista economico, generando fiducia nell’azienda da parte dei consumatori. Bisogna fare di più per diffondere questa consapevolezza, anche come giusto tributo alle vittime della funivia ed a tutti gli altri caduti a causa di un lavoro ancora troppo insicuro.