di Francesco Paolo Capone

Segretario Generale UGL

Oggi la ministra del Sud, Mara Carfagna, si è recata in Sicilia, a Messina, dove, nel corso di una conferenza stampa presso il Comune, ha “celebrato” l’emendamento del governo con il quale vengono destinati 100 milioni per il risanamento della famosa Baraccopoli. Carfagna ha scelto questa città, simbolicamente, per la sua prima visita istituzionale «perché deve rappresentare la testimonianza del mio operato concreto e pragmatico svolto nei primi 100 giorni di governo con l’obiettivo di ridurre e azzerare le disuguaglianze». Stiamo parlando di una delle più grandi vergogne d’Italia, un girone dantesco, che “ospita” tra lamiere, amianto e servizi quasi del tutto assenti ben 3.336 nuclei familiari (secondo il censimento del 2002), per un totale di 8000 persone (secondo stime del Comune) e circa 72 insediamenti. Ma il condizionale è d’obbligo. Una situazione incivile consolidatasi da più di un secolo, sempre più complessa da risolvere in assenza, è chiaro, di una precisa volontà politica e in costante presenza di quell’atteggiamento culturale, tutto italiano, che potremmo definire “abbandono del Sud”. La Baraccopoli di Messina nasce dopo il famoso – ormai solo per chi ha una certa età – terremoto del 28 dicembre 1908, uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo che ha coinvolto gravemente sia la città di Messina sia quella di Reggio Calabria. 37 secondi di terrore (terremoto di magnitudo di 7,1 Mw) che hanno fatto scomparire metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella calabrese. Per arrivare dal 1908 al 2021 – quando cioè ai giorni nostri e sempre a Messina si attende la costruzione del Ponte sullo Stretto – ci vorrebbe la macchina del tempo. Ma, come è noto, in Italia sappiamo fare miracoli e cioè far “convivere” grandi riforme e relativi progetti sofisticati, complessi, finanziariamente e tempisticamente spericolati, contenuti nel Recovery Plan con una baraccopoli arrivata, attraverso più di un secolo, a rappresentare una comunità di migliaia di persone. Lasciate a vivere in mezzo ad un contorto e malsano intreccio di costruzioni precarie, coperte da eternit, devastate da topi e animali non proprio amici dell’uomo. Qui sempre più spesso – ma ovviamente non si hanno dati certi – ci si ammala e si muore di asbestosi. Nei casi migliori di asma, bronchite e malattie alle vie respiratorie, infezioni. In mezzo al degrado, altro degrado: la criminalità organizzata qui spadroneggia, anche sulla gente perbene, e in questo intreccio di lamiere ha creato piazze di spaccio. Dunque fa bene la ministra Carfagna ad affermare: «Mettiamo fine ad una profonda ferita». E che lo sia davvero, una volta per tutte.